Andrea Morigi, Libero 21/1/2009, 21 gennaio 2009
MENO CULLE TRA GLI ISLAMICI E L’EUROPA TORNA A FARE FIGLI
Finora i numeri ci davano per spacciati. Niente sembrava più ineluttabile del sorpasso demografico dei giovani popoli islamici nei confronti degli ex cristiani stanchi e malaticci. Era solo questione di tempo, si diceva.
Poi, nemmeno tanto all’improvviso, è cambiato il vento. Non molti se ne erano accorti, ma da qualche decennio i musulmani hanno sensibilmente rallentato la corsa al sovraffollamento del pianeta.
un fenomeno generalizzato, che li riguarda tutti indistintamente, tranne un caso notoriamente a sé stante, l’Afghanistan. A partire dall’Indonesia, il Paese a maggioranza islamica più popoloso del mondo, che da quasi 6 figli nati per donna negli anni 1965-70, subisce un costante declino fino a passare a un modesto 2,18 nel 2010, secondo le previsioni dell’Onu. Rimangono tanti, 202 milioni di persone. Ma, a quei ritmi, rischiano di calare e di invecchiare rapidamente.
FINLANDIA BATTE ALGERIA
Fra l’altro, la loro aspettativa media di vita non è altissima. E, dove si alza l’età media, com’è accaduto in Algeria, si abbassa ancora di più il tasso di fertilità: se cinquant’anni fa si viaggiava a nidiate di oltre sette figli per donna, ora secondo le stime della Cia statunitense ci si attesta ad appena 1,82. Meno della Finlandia, tanto per fare un confronto con un Paese tra i più secolarizzati del mondo, dove non si può dire che la tendenza si sia del tutto invertita, ma dal 2000 a oggi si assiste a un timido risveglio, da 1,7 a 1,83. E non lo si deve certo ai musulmani, praticamente assenti dal territorio nazionale. Semmai, come è accaduto in Svezia e Norvegia, bisogna ringraziare il Welfare State che ha concesso sostanziosi contributi alle mamme single. Crollati i matrimoni, si sono riempite le culle.
una precisazione da premettere obbligatoriamente, altrimenti si rischia di attribuire ogni incremento delle nascite nel Vecchio Continente esclusivamente a immigrati poligami e prolifici come conigli, che si sarebbero posti l’obiettivo di invaderci superandoci numericamente per la gloria di Allah.
Nel frattempo qui in Europa, ma anche in America, c’è qualche segnale di ripresa. Poca roba, non sufficiente ad assicurare nemmeno la sostituzione delle generazioni attuali. E se quel recupero si deve parzialmente anche alle comunità di immigrati, non obbligatoriamente questi ultimi sono musulmani. Ci sono parecchi cinesi, africani, sudamericani, ex sudditi dei satelliti sovietici, venuti a vivere da queste parti. Tant’è che, scriveva lo studioso gallese Philip Jenkins nel suo ”God’s Continent” (Il Continente di Dio) nel 2007, i polacchi nel Regno Unito sono diventati la prima comunità di stranieri. Si vede a occhio nudo nelle chiese cattoliche britanniche, che si sono riempite al punto da obbligare i parroci a far celebrare sei-sette messe domenicali affollatissime contro le due-tre al massimo, e per lo più mezze deserte, del periodo in cui Varsavia non era ancora membro dell’Unione Europea. Non se ne parla molto perché il centro della scena mediatica è stato conquistato dalle moschee londinesi. Ed è più che naturale, perché inevitabilmente le bombe nella metropolitana attirano l’attenzione più della recita del santo rosario.
In realtà, la Polonia è uno dei pochissimi Paesi dell’Unione Europea in costante declino, insieme alla Romania. Tutti gli altri, benché molto a fatica, provano a rialzarsi. Forse, quindi, non è in atto un processo irreversibile che vedrà soccombere la Croce alla Mezzaluna trionfante.
Il rischio rimane perché, per quanto ridotta, la velocità riproduttiva dei musulmani è comunque più alta di quella occidentale, tranne che nel caso di Israele, il primo della classifica, impegnato in un testa a testa con l’Egitto. Anche se è noto che i palestinesi residenti nello Stato ebraico aumentano più dei loro nemici sionisti.
Preoccuparsi è più prudente. Sta a metà strada fra l’ottimismo e il fatalismo. A memoria di demografo nessuna comunità si è mai risollevata da tassi di crescita così bassi. Aborto e contraccezione hanno lasciato segni indelebili sulla struttura delle popolazioni industrializzate e progredite. Se passasse la cultura dell’eutanasia il quadro si aggraverebbe ulteriormente. Considerarsi già sconfitti, tuttavia, otterrebbe l’unico effetto di favorire la paura e di conseguenza una resa incondizionata.
IL CONTAGIO OCCIDENTALE
All’orizzonte, però, non si vedono più orde così numerose con le scimitarre in pugno. Anzi, più i popoli musulmani si avvicinano alle frontiere europee e più sembrano finire irrimediabilmente contagiati dallo stile di vita modernizzante dei vicini laici. Quarant’anni fa ogni donna turca partoriva sette volte nell’arco della propria vita. Ora si accontenta di due figli. Anzi, nel 2008 gliene erano sufficienti soltanto 1,87. E sì che da qualche anno si sono dati un governo islamico. Senza dubbio, analogamente al caso di Israele, le cifre non riflettono la realtà in tutte le sue sfaccettature. Certamente le famiglie più fondamentaliste dell’Anatolia profonda non tendono a estinguersi come accade invece agli abitanti dei nuclei urbani. Ma vanno sottoposti a scrupolosa verifica, insieme ai timori, anche i luoghi comuni secondo i quali le masse islamiche sono destinate a raddoppiare ogni vent’anni. Chi l’avrebbe mai detto che nell’Iran degli ayatollah si sarebbe passati da 9 figli per donna di trent’anni fa a 1,71 nel 2008? Se il risultato ottenuto da Khomeini fino ad Ahmadinejad è la caduta libera delle gravidanze, in parte si ridimensiona anche il pericolo percepito come incombente della rivoluzione sciita. Staranno anche costruendosi l’atomica, ma intanto la bomba demografica ha fatto cilecca.
Anche se non basterà a tirare un sospiro di sollievo, le profezie di Oswald Spengler sul tramonto dell’Occidente non si sono ancora avverate. C’è qualche speranza residua di non farsi conquistare dall’utero di donne col burqa.