Valerio Cappelli, Il corriere della sera 17/1/2009, 17 gennaio 2009
IN USA VINCE LA CULTURA, NOI LA PERDIAMO
Tre serate esaurite da maggio. Il «Tribune»: «Insediamento trionfale, una di quelle serate che cambiano la vita»
ROMA – Dal 44º piano del grattacielo che lo ospita, Riccardo Muti vede il lago ghiacciato di Chicago (la temperatura è a meno venti), da cui si leva una tempesta di fumi. «Un paesaggio da Inferno dantesco, dalla mia finestra sembra il Dies Irae
di Verdi», racconta divertito al telefono. il giorno dopo la Messa da Requiem verdiana, il concerto con cui comincia un capitolo nuovo della sua vita di musicista: il debutto come direttore musicale della Chicago Symphony Orchestra. Sui giornali c’è scritto: «Se siete in grado di trovare un biglietto, congratulazioni ». Le tre serate esaurite da maggio. «Alla fine, dopo lunghi secondi di silenzio, mi sono voltato e tutta la sala era in piedi». Le voci: Barbara Frittoli, Olga Borodina, Mario Zeffiri, Ildar Abdrazakov.
Il critico musicale del Chicago Tribune, John von Rhein, ha scritto di un Verdi «celestiale», «un’esperienza di quelle che cambiano la vita», «meravigliosa pulizia di suono». Concludendo con: «Muti ha avuto il suo insediamento trionfale. Adesso tocca a Obama».
Dopo l’addio alla Scala, ha creato un’orchestra di giovani, è tornato a Salisburgo, ha ripreso i tour coi Wiener, ha esordito all’Opera di Roma, «dove non vedo l’ora di tornare in marzo per Gluck». Ma qui si tratta di un impegno nel tempo, dal 2010 due mesi e mezzo a Chicago più tre settimane di tournée: «Verrò anche in Italia ».
Muti ha sentito una voce dal «board of directors» del presidente Obama, che si insedierà martedì: «Una delle sue idee è di creare un ministero della Cultura in America: in Europa è scontato ma qui, dove tutto è nelle mani dei privati, (che mettono i soldi ma non decidono la programmazione e lasciano libertà all’artista) è un fatto rivoluzionario. Nel momento in cui noi ci disoccupiamo della cultura, Obama se ne occupa, ritenendola fondamentale nel Paese dalle tante comunità etniche. La nuova musica sarà centrale nel processo di integrazione di razze diverse. E noi la abbandoniamo, come se la possedessimo per grazia divina; la cultura ci sta sfuggendo di mano ».
Che cosa rappresenta il Requiem verdiano nella sua carriera? « quasi una lotta tra l’uomo e Dio, è molto diverso da tutte le pagine religiose austro- germaniche, le radici affondano nel nostro modo di esigere, più che chiedere, che Dio si prenda cura di noi, visto che la responsabilità della nostra presenza sul pianeta è dovuta a lui. L’uomo qui non prega passivamente ma combatte, il grido Libera Me Domine è quasi di ribellione, col finale in do maggiore che è inquietante pur essendo una tonalità luminosa, vedi la Jupiter di Mozart o il finale della Quinta di Beethoven. Qui c’è la genialità di Verdi, dà la sensazione di un punto interrogativo: Succederà? Sarò liberato da Te?».
Maestro, perché disse no alla New York Philharmonic? «Subito dopo Chicago, andrò proprio a dirigere quell’orchestra. Erano tempi diversi, allora ero felice di essere libero dedicandomi a quelle 4-5 orchestre vicine alla mia sensibilità (coi Wiener lavoro da 38 anni). Ci sono momenti in cui scatta una cosa, non l’ho fatto per altri motivi. I miei rapporti con la NYPhil sono splendidi».
Com’è l’America di Riccardo Muti? «Ne ho conosciute due. La prima volta presi la guida della Philadelphia Orchestra che avevo 39 anni, la vecchia America blasonata. Chicago è la città del futuro anche nelle sue forme architettoniche, come una Ferrari. Trovi comunità polacche, italiane, greche, messicane; la vitalità dell’Orchestra riflette quella della città che aspetta Obama (lui qui era senatore), lui fu voce recitante in un pezzo di Copland, Lincoln Portrait,
che io proposi a Philadelphia con la voce di Michael Jordan, il giocatore di basket. Chicago sta impazzendo, si identifica nel nuovo corso di speranza per riconquistare l’affetto di tutto il mondo, l’America vuol risollevarsi e essere riamata, e l’Orchestra, definita dalla prestigiosa rivista Gramophone di Londra la prima in Usa, è ambasciatrice di questa speranza. Nonostante i fumi del lago, qui sembra Primavera».