Enrico Franceschini, la Repubblica 20/1/2009, 20 gennaio 2009
LONDRA - E´
stato un altro Black Monday per le banche britanniche. La Royal Bank of Scotland ha perso in un giorno il 66% del suo valore, dopo aver annunciato perdite che potrebbero arrivare alla cifra record di 29 miliardi di sterline, la singola perdita più grossa mai registrata nella storia da un´impresa britannica. La Lloyds ha perso il 27 per cento; la Barclays, che alla precedente chiusura aveva perduto il 25 per cento, è scesa di un altro 10 per cento. Un´ecatombe, che ha trascinato verso il basso tutto il settore bancario del Regno Unito. Ed è stato un Lunedì Nero ancora più drammatico perché è venuto subito dopo l´annuncio di un nuovo piano del governo di Gordon Brown per salvare le banche: il secondo piano salva-banche in tre mesi. Dopo quello che in autunno aveva tirato fuori 37 miliardi di sterline per evitare che uno o più grandi istituti scivolassero verso la bancarotta, ieri il primo ministro, affiancato dal cancelliere dello Scacchiere (così si chiama qui il ministro del Tesoro) Alastar Darling, ha lanciato alle banche un salvagente ancora più dispendioso: un fondo da 50 miliardi di sterline, messo a disposizione della Banca d´Inghilterra, per assicurare i cosiddetti titoli «tossici», ossia i prestiti «irresponsabili», come li ha definiti Brown, per lo più a linee di credito e investitori stranieri, oltre a numerose altre misure che potrebbero far costare due o tre volte tanto il piano di salvataggio.
Una spaventosa ondata di passivo, che lo stato carica sulle proprie spalle per salvare le banche, e che in ultima analisi finirà sulle spalle del contribuente, chiamato a pagare, ancora una volta, per gli errori di banchieri dissennati. Qualcuno lo descrive come un primo passo verso la completa nazionalizzazione dell´intero sistema bancario: le azioni del governo nella Royal Bank of Scotland in effetti sono già il 70 per cento, quelle nella Lloyds sono al 43, e saliranno ancora, mentre altre banche, come la Hsbc e la Barclays, che per il momento rifiutano un anche parziale e minoritario ingresso del governo nel proprio capitale (andando a cercare aiuti, piuttosto, tra gli arabi degli Emirati), potrebbero essere presto costrette a ripensarci. Ma quel che è peggio, un così ingente piano di aiuti non ha tranquillizzato i mercati. «Siamo come un´Islanda sul Tamigi», commenta Will Hutton, presidente della Work Foundation, una think tank pur legata al partito laburista, intervistato dall´Evening Standard: ed è appunto l´immagine di una Gran Bretagna in bancarotta, come la piccola Islanda, quella che fa tremare in questi giorni la City.
Gli analisti calcolano che, sommando i 37 miliardi dell´autunno, i 50 di oggi, gli 11 già dati per la nazionalizzazione della Northern Rock, la prima banca inglese travolta dal crollo dei mutui «sub prime» in America, e una serie di altri prestiti a breve periodo, si arriva a 250 miliardi di sterline; la stampa conservatrice parla addirittura di 500 miliardi di sterline messi in conto al contribuente. In gioco non c´è solo il destino delle banche, ma anche quello di Gordon Brown, atteso da elezioni entro 18 mesi: se la sua prima risposta alla crisi era stata accolta favorvolmente, in autunno, tanto che il mondo intero lo ha seguito, non è chiaro come andrà questa volta. Il «salvatore del mondo», come lo chiamò il premio Nobel per l´economia Paul Krugman tre mesi fa, sta ora perdendo quota nei sondaggi in patria: e i Tory sentono aria di vittoria alle urne.