la Repubblica 17/1/2009, 17 gennaio 2009
IL TRIANGOLO DELLE BERMUDE
Per riconquistare la fiducia degli investitori in momenti di crisi, una banca può ricorrere a un aumento di capitale. Ma riesce a centrare l´obiettivo solo se: 1) fuga ogni dubbio sul valore delle attività; 2) le prospettive sono tali da escludere ulteriori aumenti a breve; 3) l´offerta ottiene l´avallo di investitori interessati unicamente alle prospettive del titolo, e non al controllo. L´attuale aumento Unicredit non sembra soddisfare alcuna delle condizioni. Nella migliore delle ipotesi, sarà un´operazione inutile.
Il prospetto informativo assevera, invece di eliminare, i dubbi sul valore e il rischio degli attivi, che sono seri a giudicare dallo sconto che la Borsa applica al valore del patrimonio netto. Tra le maggiori banche al mondo, Unicredit è al 94° posto su 100 per ampiezza dello sconto: sono più penalizzate solo banche nazionalizzate o assorbite perché in dissesto.
Il prospetto indica 860 milioni di perdite su titoli rischiosi nel terzo trimestre 2008, evitate grazie all´aiuto contabile straordinario deciso della Ue; ma non offre indicazioni per il quarto, nonostante 69 miliardi di derivati in bilancio e 25 di azioni e fondi detenuti a vario titolo. Ci sono 22 miliardi di avviamento da acquisizioni (Capitalia), ma non si fa cenno a una svalutazione, giustificata dalle prospettive del settore. Nessuna previsione sull´impatto della recessione sulle sofferenze, la voce più importante del bilancio per una banca con 625 miliardi di prestiti: se salissero al 3% (ipotesi ottimistica, data la gravità della crisi), richiederebbero circa 6 miliardi di nuovi accantonamenti.
Timido il programma delle cessioni. C´è anche un´operazione di facciata: la vendita a fine anno di 800 milioni di immobili strumentali a un Fondo, sottoscritto al 33% da Unicredit, che li acquista con finanziamenti bancari, beneficiando della garanzia dell´affitto fino alla propria scadenza e di una prelazione di riacquisto da parte della banca. Stupisce che operazioni di questo tipo, ultimamente in gran voga tra le banche, possano valere ai fini del patrimonio di vigilanza. L´aumento di capitale "sul mercato" è pura finzione. Nessuno sottoscriverà le azioni Unicredit, offerte a un prezzo quasi doppio di quello di Borsa. Ma era già previsto che l´offerta andasse deserta. Così Mediobanca garantirà l´inoptato, e metterà i nuovi titoli Unicredit in un veicolo che si finanzierà emettendo debito convertibile in azioni. Questo convertibile però non sarà collocato sul mercato, ma è Mediobanca che deciderà i destinatari: 60% agli attuali soci rilevanti (prevalentemente Fondazioni), che così consolideranno il controllo; e per il resto (2,7% del capitale) a se stessa, o a persona grata. Il veicolo cederà a Unicredit l´usufrutto sulle azioni, in modo da giustificare il pagamento degli interessi sul debito della banca. Pertanto, i diritti di voto di Mediobanca saranno congelati, ma solo fino alla conversione. Unicredit paga profumatamente per le nuove azioni: 4,5% sopra il tasso Euribor, molto più di quanto fa pagare ai propri clienti; e concede gratis l´opzione di conversione. Morale: l´aumento serve solo a pilotare le azioni verso alcuni soggetti; che si rafforzano nel controllo, a spese degli altri soci. Non sorprende dunque che l´aumento non sia riuscito ad arginare la frana del titolo (dal 2007, -20% rispetto al settore europeo).
Con Mediobanca azionista rilevante di Unicredit e Generali, e Unicredit socio in Mediobanca e Generali, si chiuderà un triangolo delle Bermude che, invece degli aerei, inghiottirà il sogno di far crescere le principali istituzioni italiane svincolate dal peso delle relazioni, e orientate al mercato. Da questi intrecci, diversamente da quanto si afferma, il nostro sistema finanziario non ne uscirà rafforzato. Se ne è già accorta la Borsa: dai massimi, l´indice dei titoli bancari italiani ha perso come quello delle istituzioni finanziarie americane. E c´è riuscito anche senza subprime, Cds, e altre diavolerie.