Andrea Vogt, Panorama, 22 gennaio 2009, 22 gennaio 2009
ANDREA VOGT PER PANORAMA 22 GENNAIO 2009
Seattle, nel mondo di Amanda Gli amici che protestano: non può essere stata lei. La famiglia che ha speso tutti i soldi in avvocati, pr, consulenti. E poi ci sono gli scettici. Ecco come, nella città natale della principale accusata, si aspetta l’inizio del processo per l’omicidio Kercher.
Alla vigilia dell’apertura del processo per l’omicidio di Meredith Kercher, a Seattle, città natale di Amanda Knox, le opinioni della gente sono come il cielo in questa stagione: tutt’altro che limpide. Fanno sentire forte la loro voce, soprattutto con i media, gli amici e i sostenitori di Knox, convinti nel profondo della sua innocenza e che il caso sia viziato da un giudice corrotto e da approssimative indagini di polizia. Ci sono altri che sostengono che le prove contro di lei sono sufficientemente forti, troppo forti per sostenerla ciecamente, solo perché è lo stereotipo della bella americana, bianca e carina. E poi c’è la maggioranza silenziosa di Seattle che aspetta, guarda e si chiede: che ne sarà di Amanda Knox? «La vera battaglia comincia solo ora» dice Randy Jackson, che lavora nel settore della tecnologia educativa alla locale University of Washington, dove Amanda studiava prima di trasferirsi in Italia. «Ritengo ci sia un piccolo, ma forte, contingente che si fa molto sentire e solleva un gran polverone. Però la maggior parte delle persone non conosce i dettagli della storia, è semplicemente curiosa. In molti chiedono: quali sono i fatti? Qual è la verità? Non resta che aspettare, la verità è là da qualche parte». I ricercatori universitari e i dati dell’ufficio anagrafe dimostrano che Seattle è la più colta fra le grandi città degli Stati Uniti: oltre metà dei residenti è in possesso almeno di una laurea breve. E forse proprio la natura critica e accademica della città ha fatto sì che il caso di Amanda Knox continui ad appassionare. Ma, come avviene per molti eroi locali, la realtà è alquanto variegata, con la gente divisa sul dubbio che la loro concittadina stia subendo un giusto processo a Perugia, città gemellata con Seattle. Una ricca, piccola metropoli che ha sempre vissuto con l’ingombrante presenza della Boeing e oggi prospera con l’high tech: Nintendo, Amazon.com e At&t Wireless (fra le altre) hanno sede qui; e a Redmond, un centro dell’area metropolitana, la Microsoft ha il suo quartier generale. Perugia è famosa per il suo cioccolato, Seattle per il suo caffè (la catena Starbucks è nata qui). E, proprio come a Perugia, sotto la superficie della cittadina universitaria anche a Seattle prospera una fiorente scena alternativa. Sembra la città dei bar: dai lounge di alto livello a Belltown ai locali universitari dell’U-district, da quelli gay-friendly sulla Capitol Hill a quelli country per i cowboy nei sobborghi. Qui musicisti come Jimi Hendrix e Quincy Jones trascorsero gli anni della formazione. Qui, qualche decennio dopo, i Pearl Jam e Kurt Cobain dei Nirvana hanno fatto partire il movimento grunge. E qui prese le mosse il «popolo di Seattle», il movimento no global protagonista degli scontri contro la Wto nel 1999. Ma la Seattle di Amanda non era né ricca né alternativa. La giovane Knox giocava a calcio nella squadra Seattle Prep, il liceo privato retto dai gesuiti che frequentò con ottimi risultati prima di entrare alla University of Washington, un tranquillo campus in stile inglese, con gli edifici moderni in mattoni rossi, la statua di George Washington e una piazza centrale dominata dalla biblioteca Henry Suzzallo, che pare una cattedrale. Ha studiato italiano, tedesco e scrittura creativa. Anche qui, come al liceo, buoni voti. E nel frattempo un lavoro da barista in un caffè del distretto universitario. Come molti studenti, non disdegnava i party. Quando una festa nella sua casa dello U district diventò troppo rumorosa e tracimò per strada (era il luglio 2007) fu Amanda a uscire per parlare con la polizia, chiamata dai vicini. E si prese un verbale per disturbo della quiete pubblica. «Se lo beccò lei perché era l’unica sufficientemente sobria per parlare con un poliziotto. E dopo ci mandò tutti a casa» ricorda Madison Paxton, un amico dei tempi del college. «Certo, ogni tanto fumava una canna, ed è stata a letto con qualche ragazzo. Ma chi non l’ha fatto?». Il giovane, e con lui altri amici di Amanda, hanno messo da parte i soldi per andare a Perugia, con l’intenzione di testimoniare al processo. «L’ultima volta che l’ho vista è stato qui, a Seattle: era metà agosto del 2007. La prossima volta che la incontrerò sarà in un’aula di giustizia italiana, dove non potremo neppure parlarci» dice Andrew Seliber, 22 anni, laurea in psicologia, che viveva nello stesso convitto di Amanda. Messo alle strette, Ben Parker, altro amico di Amanda, laureato in scienze politiche (sta studiando per la specializzazione in legge), confessa di nutrire scarsa fiducia in un processo giusto a Perugia, ed è convinto che si arriverà fino alla Cassazione. «Sfortunatamente abbiamo più speranze su ciò che accadrà dopo questo processo, quando finalmente il caso lascerà Perugia». Eppure, secondo i suoi amici, Amanda mantiene un affetto sincero per il Paese dove è in carcere da un anno. «Ama l’Italia e gli italiani» sostiene Seliber, che però aggiunge: ora il desiderio di Amanda è semplicemente tornarsene a casa a una vita normale fatta di scuola, lavoro, divertimenti all’aria aperta. Seattle è piovosa, ma grazie al clima temperato dal mare e alla vicinanza ai monti Cascade e Olympic i ragazzi si dedicano allo sci e allo snowboard, alle camminate, al kayak, al rafting, al cavallo. Il Mount Rainer, un picco granitico coperto dai ghiacciai, domina Seattle a est. A ovest il lungomare del Puget Sound è appena a pochi isolati di distanza dallo Space Needle, il grattacielo simbolo della serie televisiva Grey’s Anatomy. «Ho messo molte volte la mia vita nelle mani di Amanda: siamo stati compagni di scalate per un buon paio di mesi» ricorda in un’intervista a un quotidiano locale Andrew Cheung, studente alla University of Washington. «Andavamo ad arrampicare tutti i giorni» aggiunge Seliber. «Quando è stata arrestata per me è stato come venire investito da un bus. Tutto all’improvviso, come se non l’avessi visto arrivare». Ora tutto quello che può fare è scrivere lettere ad Amanda (che risponde sempre) e andare a casa della madre, Edda Mellas, ogni giovedì mattina, quando la ragazza ha il permesso di chiamare a casa. Il padre e la madre di Amanda (separati, ma ancora in buoni rapporti) vivono a poco più di un chilometro di distanza l’uno dall’altra. Il padre, Curt Knox, ad Arbor Heights, classico quartiere della classe media di West Seattle, con i campi da tennis e i giardini ben curati davanti alle case. La madre, Ella, vive in una tipica casa dell’americano medio ma a poca distanza da White Center, che ha fama di area tosta, piena di banchi dei pegni e agenzie di prestiti, negozi di alimentari asiatici e case fatiscenti, davanti alle quali sono parcheggiate auto mangiate dalla ruggine. Quando partì per l’Italia nell’autunno del 2007, Amanda lasciò dietro di sé una solida rete familiare e di amici, alcuni dei quali stanno cercando di inserirsi nel copione di questo drammone giudiziario: sono nati da loro i Friends of Amanda, associazione che raccoglie fondi e fa azione di lobbying. Hanno portato a Seattle come difensore Anne Bremner, ex pubblico ministero diventato ospite televisiva fissa, per portare il caso all’attenzione dei media, qui e all’estero (è stata ospite anche a Porta a porta). L’amico di famiglia Michael Heavey, giudice della Seattle superior court (sua figlia era compagna di scuola di Amanda), ha scritto alla senatrice Maria Cantwell (con cui, tra l’altro, ha scalato il Mount Rainer nel 2007) e ha inviato una petizione, scritta sulla sua carta da lettera, ai giudici italiani chiedendo che il caso fosse tolto a Perugia. E poco dopo l’arresto della ragazza la famiglia Knox ha assunto David Marriott, specialista in relazioni pubbliche, per rendere più accattivante l’immagine di Amanda e, nel contempo, lanciare una campagna contro le autorità italiane, anzitutto il pm Giuliano Mignini. Alla fine dello scorso anno gli amici di Amanda hanno organizzato una raccolta fondi nella parrocchia del Santo Rosario, a West Seattle: si sono presentate oltre 200 persone e in molti hanno versato i 50 dollari richiesti. Sul sito Amandadefensefund.org ci sono le citazioni degli amici e dei membri della famiglia Knox. C’è la nonna Elisabeth Huff, per esempio, che se la prende con «le brutte bugie su Amanda e la sua tragica e ingiusta persecuzione in Italia». Prima dell’omicidio, ricorda la nonna, «la sua vita ruotava tutta intorno alla famiglia, agli amici, al lavoro e alla scuola. Era una bambina amabile, amata e beneducata. Dall’asilo fino all’università si è dimostrata una studentessa dotata, seria e dai buoni risultati. Ama gli sport, i libri, la musica e l’aria aperta». Nel corso dell’ultimo anno i Friends of Amanda hanno portato la loro battaglia sui giornali, in radio, sulle televisioni: in questi giorni David Marriott sta coordinando le interviste ai genitori di Amanda da parte di tre importanti network americani. Kris Arneson è una madre single che si dice stufa per la carenza di coperture approfondite sul caso. Raramente ci si discosta dai punti di vista dell’agente della famiglia Knox: «Sento questa gente che si fa interprete del ”sentimento di Seattle” e mi arrabbio. No, non tutti qui sono convinti che Amanda non abbia nulla a che vedere con quanto successo a Perugia». Intanto i genitori di Amanda devono fare i conti con le spese sostenute per il soggiorno vicino a Perugia, così da poter visitare la figlia in carcere. E poi devono pagare gli avvocati, la squadra di esperti forensi, un anno di viaggi da e per l’Italia. A Seattle i sostenitori della causa di Amanda raccolgono i fondi con il sito web e con varie iniziative: la famiglia è sotto un gran peso finanziario e il processo non è neppure iniziato. Oltre a raccogliere migliaia di dollari cercano di sostenere in tutte le sedi la loro teoria sull’omicidio: sarebbe stato il solo Rudy Guede (già condannato a 30 anni con il rito abbreviato) a uccidere Meredith Kercher dopo aver fatto irruzione nell’appartamento diviso dalle due ragazze. Le loro critiche si concentrano sulla mancanza di tracce precise di dna e sul magistrato che ha condotto le indagini, sulle fughe di notizie e sul sensazionalismo dei tabloid che avrebbero condizionato negativamente l’opinione pubblica. Soprattutto c’è un atteggiamento di fondo che pare granitico: semplicemente non possono credere che Amanda sia un’assassina.