The Economist, 17 gennaio 2009, 17 gennaio 2009
Smart Union, costruttore di giocattoli cinese, ancora l’anno scorso segnava vendite record. A gennaio, però, è fallita
Smart Union, costruttore di giocattoli cinese, ancora l’anno scorso segnava vendite record. A gennaio, però, è fallita. E la sua storia racchiude la parabola della Cina: il boom economico e la crisi. Per dodici anni Smart Union è cresciuta in fatturato, dipendenti e stabilimenti. A ottobre la crisi ha iniziato a farsi sentire: perdite economiche non ben quantificate e licenziamento di 12 mila lavoratori. Il fondatore, Tony Wu, aveva creato Smart Union nel 1995, dopo qualche anno passato tra Mattel, Ertl e altri colossi dei giocattoli. Prima produceva giochi ultra-economici da vendere come gadget ai fast-food. Poi si è messo a realizzare prodotti più elaborati, con parti elettroniche, da produrre per conto di Disney, Hasbro e Mattel. Non aveva avuto nessuno dei problemi di qualità emersi lo scorso anno. Smart Union ha esordito alla Borsa di Hong Kong nel 2006, raccogliendo 7 milioni di dollari di investimenti e raddoppiando il suo valore l’anno successivo. Nel 2007 il fatturato ha raggiunto il miliardo di dollari di Hong Kong (130 milioni di dollari statunitensi) rendendo Smart Union un’azienda relativamente grande. Ma alla fine del 2007 i problemi hanno iniziato a venire fuori: la Cina ha vissuto una brusca crescita dei costi energetici, delle materie prime, del lavoro. Lo yuan riguadagnava sul dollaro, complicando le esportazioni. Quindi è arrivata la stretta creditizia. All’inizio del 2008 l’azienda si è trovata con le casse vuote, costretta a indebitarsi e a sollecitare i pagamenti dei clienti. A giugno una pioggia pesante e durature si è abbattuta sulla regione del Dongguan, annegando gli stabilimenti di Smart Union e distruggendo la merce in magazzino. I fornitori, spaventati, hanno smesso di colaborare, i dipendenti hanno chiesto anticipi sullo stipendio. L’azienda ha fatto bancarotta, anche se aveva un libro di ordini ancora pieno. Wu oggi è all’estero, assieme al resto del management. Le autorità locali gli hanno suggerito di non tornare, per evitare un probabile linciaggio.