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 2009  gennaio 16 Venerdì calendario

IL NUOVO PDL? COPIA L’ERRORE DEI DEMOCRATICI


Professor Fisichella, lei è l’inventore di Alleanza nazionale.
«Il nome è mio. E non lo rinnego. Finiva la conventio ad excludendum. Cominciava il bipolarismo. Fu sconfitta la gioiosa macchina da guerra di Occhetto».
Ora siamo al Pdl e al bipartitismo.
«E’ una svolta non matura e nemmeno auspicabile. La prospettiva di una destra seria è sfumata quando si è abdicato al principio fondativo, l’unità nazionale. Ora la fusione si fa non sul terreno dei valori, ma nell’assenza di valori. Prevale il pragmatismo potestativo. La fedeltà personale come criterio di reclutamento».
Lei è molto severo.
«Forza Italia non è un vero partito nazionale. Certo, prende i voti al Nord e al Sud. Ma è un partito dalle troppe connessioni con la dimensione economica. Privo della coscienza della statualità e delle sue regole, inconsapevole dei limiti del potere politico, cioè l’essenza della destra liberale».
Berlusconi non ha mai avuto tanto consenso. Lei non pensa che durerà cinque anni?
«Berlusconi è un’eterna incognita. Dice che la fiducia non è stata una decisione del governo ma dei singoli ministri. Incomprensibile. Dieci anni fa Forza Italia indicava il problema nella politica e non nel mercato, oggi lo indica nel mercato e non nella politica. Un capovolgimento che nulla, neppure la crisi, può spiegare, se non l’inconsistenza. La mancanza di serietà».
Come giudica le ribellioni di Fini?
«Talune riguardano temi che appartengono alla sua funzione istituzionale. Talune altre ne esorbitano. Come quando critica la Chiesa sulle leggi razziali, esprimendosi su un tema che gli studiosi stessi non hanno definito con certezza. Il Papa è pur sempre il capo di uno Stato straniero, e il ministro degli Esteri potrebbe avere da eccepire sull’invasione di campo, così come il ministro degli Interni quando Fini parla di immigrazione. Ma proprio il fatto che sia il presidente della Camera a intervenire indica la debolezza non solo del Pd, ma pure del Pdl».
Debolezze incrociate?
«Siamo senza opposizione e anche, dopo soli otto mesi, senza governo. Non c’è un organo collegiale che regga il Paese. C’è una conflittualità tra partiti, tra leader, tra poteri locali. La rissa su Linate, Malpensa, Fiumicino è destinata a replicarsi su mille altri argomenti. Per questo i richiami di Fini sono talora apprezzabili, sia pure tardivi».
Il suo addio ad An fu polemico. Non è scontato il suo giudizio in parte positivo su Fini.
«Lo condivido quando difende il ruolo centrale del Parlamento. E pure quando prende posizione contro l’odioso balzello sugli immigrati. Conta poco che altri Paesi europei abbiano preso misure analoghe; l’aggressività dei toni e l’intento punitivo della Lega le rendono inaccettabili. Capisco le preoccupazioni di An, che teme di essere assorbita da Forza Italia come un’azienda minore fagocitata da una più grande...».
Ad esempio?
«Mi viene in mente la Cai con Air France. An sta alzando il prezzo. Cerca di aumentare il proprio potere negoziale, e anche di rispondere alle inquietudini della base. Non tutta la destra è entusiasta del federalismo, o della posizione del governo su Gaza. C’è un disorientamento che può portare, più che a un successo di Storace, a una forte astensione».
Come vede il reggente La Russa?
«Concentrato sugli aspetti organizzativi. Incapace di assumere iniziative politiche. L’unico che può farlo è Fini. Che però si è mosso troppo tardi ».
Il Pdl nascerà comunque il 27 marzo?
«Un rinvio è possibile. Ma ormai il meccanismo è avviato, a prescindere dalla volontà di chi l’ha predisposto. A meno che non intervenga una lacerazione: la crisi economica che si aggrava; una rottura nei rapporti triangolari Fini-Berlusconi-Bossi. E pensare che prima era Fini a spingere per l’unificazione, e Berlusconi nicchiava... Si sono fatti trascinare dalla nascita del Pd. Un’operazione in perdita. Che ha condizionato, in negativo, l’intero assetto politico».
Bossi sopra l’11% la spaventa?
«La Lega ricorda il vecchio Pci: partito di lotta e di governo. Ma è più inquietante. Perché il Pci tendeva all’integrazione, e riduceva la lotta a vantaggio del governo. La Lega resta un partito antisistema».
Rutelli uscirà davvero dal Pd?
«Era più facile non entrare. Quello fu il mio consiglio, quand’ero nella Margherita. Rutelli non mi diede retta: ormai controllava appena un terzo del partito, essendo i due terzi in mano a Marini e ai suoi allievi. Eppure avrebbe fatto meglio ad ascoltarmi. Anche con un risultato elettorale modesto, la Margherita sarebbe stata centrale. Invece è iniziato lo smottamento del voto cattolico verso l’Udc. E’ tardi anche per Rutelli: condotto il partito nel Pd, non avrebbe senso riprendersene un pezzo per trasmigrarlo chissà dove».
Non c’è un accanimento ingeneroso contro Veltroni?
«E’ la legge della democrazia di massa. Guai ai vinti: l’antico principio resta valido. Veltroni dovrebbe conoscere la vocazione italiana alla cortigianeria, in particolare tra i media. E poi ha commesso errori. Il più grave: la scelta del personale politico. Non si rinuncia con leggerezza a uomini di valore».
I nomi?
«Andrea Manzella, Massimo Brutti, Guido Calvi, Fulvio Tessitore. Rettori di università, giuristi eminenti, studiosi che nel diritto e nella cultura contano qualcosa. Cancellati per far spazio a giovani di belle speranze, ora ridotti al silenzio. Ecco, l’assenza di dibattito è un altro tratto in comune ai due partiti».
Quante chance ha Fini di succedere a Berlusconi?
«Aumentano più passa il tempo che lo separa dai suoi pregressi. Se invece i tempi saranno brevi, toccherà a una personalità di Forza Italia. Peccato non ce ne siano. Formigoni ha provato ad affacciarsi a Roma ed è stato respinto. La Moratti fatica sull’Expo e persino sulla neve. L’unico è Tremonti. Che però è impopolare anche dentro il governo».
Il giudizio su Fini
«Lo condivido quando difende il ruolo centrale del Parlamento e quando dice no all’odioso balzello sugli immigrati»