Vittorio Zucconi, la Repubblica 16/01/2009, 16 gennaio 2009
VITTORIO ZUCCONI PER LA REPUBBLICA DI VENERDì 16 GENNAIO
Se il mondo dei computer fosse una religione, oggi si accenderebbero milioni di candeline per la vita e la salute di Steve Jobs, per l´orfano che dal garage dei genitori adottivi in California convertì le folle al culto della mela e convinse anche i più maldestri fra di noi all´uso dei personal computers.
Non è soltanto un "Ceo", il presidente e amministratore delegato di una grande azienda quel quarantatreenne, e ormai scheletrico, signore in perenne maglioncino scuro giro collo, che si è ritirato dalla guida della Apple per tentare di guarire il male misterioso che lo stava consumando in pubblico. Attorno a lui, come a tutti i santi, ai visionari e ai profeti, ruotano dagli anni 70, quando era ancora un ragazzino con le tentazioni hippie negli occhi e i lamenti dei sitar indiani nelle orecchie, la venerazione, l´odio, le leggende, le invidie di chiunque abbia visto o usato uno di quei prodotti, dal "Mac" all´iPhone ai lettori di musica iPod, che nessun altro come lui sapeva impacchettare, imbellettare e commercializzare e soprattutto rendere utilizzabili attraverso mouse, icone e click. Tutti con il simbolo di quella mela mordicchiata che un week end trascorso in frutteto della California gli ispirò e al quale lui aggiunse il segno dispettoso del morso, giocando sulla parola "byte", l´unità minima di memoria nel computer, che si pronuncia esattamente come "bite", appunto, morso.
Forse neppure Bill Gates, il suo storico rivale in questa guerra trentennale fra i guelfi della mela arroccati in una città della California chiamata con il nome di un santo missionario leccese, Giuseppe da Copertino, e i ghibellini della Microsoft nel loro castello del nord a Seattle, suscita le emozioni e la passione che il nome di Steven Paul Jobs scatena nel mondo di chiunque sia stato anche sfiorato dalla guerra santa fra Apple e Microsoft. Nella sua storia di orfano adottato da una famiglia di San Francisco, Jobs, scadentissimo e irrequieto scolaro e studente incapace di prendere la laurea anche in una modesta università locale (almeno Gates andò fuori corso a Harvard), sedotto e sbandato nella California della "controcultura" sessantottesca, poi nell´India dei guru, delle "sperimentazioni" con sostanze psichedeliche e infine tiranno implacabile dell´azienda che aveva fondato a vent´anni, c´è il segno di un´America capace di inventarsi e rinventarsi come ancora nessun´altra società al mondo.
Mentre i blogs, i giornali, gli azionisti, gli "end users", coloro che usano i prodotti della Apple accendono milioni di metaforiche candeline per capire che cosa davvero stia consumando Jobs, se sia un ritorno del suo cancro al pancreas operato nel 2005, o il misterioso e vago "squilibrio ormonale" che lui ha ammesso, infuriano le discussioni su chi davvero sia Steve. Se la nascita, poi la quasi morte e la resurrezione trionfale della Apple quando lui vi rientrò nel 1997, siano i prodotti di una mente geniale capace di vedere che cosa sia il "Next", il futuro, come chiamò una delle sue società. O se invece Jobs sia soltanto un formidabile venditore, un genio del marketing che ha saputo impacchettare e riconfezionare prodotti e idee altrui, prima la famosa "interfaccia grafica" creata e non capita dalla Xerox, poi trasformando i suoi iPods, gli iPhone, gli iBooks, i portatili Mac, da grevi attrezzi in icone dell´estetica contemporanea.
Nell´infinito dibattito fra "creatori" e "venditori", fra ingegneri che nell´oscurità sgobbano fino a 20 ore al giorno, come Jobs imponeva , e prestigiatori che convincono il pubblico considerare indispensabile quello che indispensabile non è, la sentenza nel caso della Apple è già passata in giudicato e la sua storia lo dice. Dalle prime macchinette che l´amico, e appunto "ingegnere" Steve Woznyak e lui costruirono nel garage di famiglia con 1.300 dollari di materiale ottenuti vendendo biciclette, effetti personali e strumenti musicali commercializzandole col marchio Apple, all´iPod, l´oggetto lanciato nel 2001 che è divenuto universale e ha venduto a oggi quasi 200 milioni di pezzi, la Apple respira e boccheggia con i polmoni di Steve Jobs.
La sua estromissione dalla guida dell´azienda nella cittadina intitolata al francescano leccese, il suo esilio in compiti marginali («la mia Siberia» la chiamava lui) voluta proprio dal presidente che Jobs aveva portato via alla Pepsi Cola, John Scully («vuoi davvero passare la vita a vendere acqua zuccherata?», lo aveva convinto) coincise con il collasso di un marchio che a metà degli anni �90 sembrava avviato all´estinzione e che gli investitori scaricavano come pesce avariato. Il suo ritorno, nel 1997, quando portò dentro la Apple la nuova società che aveva fondato, la Next, e le nuove idee per sistemi operativi e per la scrittura di programmi, riportò la mela quasi marcia in cima alle voglie dei consumatori e degli investitori. In dieci anni, il titolo che era sceso a dieci dollari nel 1998, schizzerà a 200 all´inizio del 2008, prima di riprecipitare, con tutta la Borsa, agli 81 di ieri, dopo la notizia del suo lungo ritiro operativo.
Oggi, gli ingegneri incapaci di vendere, e i venditori incapaci di costruire tremano insieme, scoprendo che in quella figura unica e geniale del "primo paziente d´America" si combinavano in realtà le componenti inseparabili del successo economico oggi, progettazione, realizzazione e marketing. Certamente, in questo gennaio di dati economici raggelanti, la notizia che la Apple rischia di perdere il pontefice che aveva saputo fondere la mistica, l´apostolato, la dottrina e l´organizzazione fingendosi sempre figlio della controcultura ribellistica della San Francisco anni �70, è esattamente quello che non ci voleva. Apple era una delle poche "success story" industriali dell´America nel XXI secolo. Jobs non aveva fatto soltanto computers e lettori di musica digitale e telefonini scintillanti. Aveva intuito il potenziale immenso dell´animazione, creando quella Pixar Films che ha prodotto incantevoli film, poi assorbita dalla Disney, della quale lui è il principale azionista.
La scelta del successore designato, Tim Cook, segna la rivincita, almeno temporanea, dei tecnici sopra i visonari, essendo il quasi cinquantenne Cook, oltre che "un fanatico della fitness", "intensamente privato", appunto, un ingegnere laureato. Ma senza l´uomo che seppe rendere belli computer, la chiesa di Cupertino perderebbe il proprio profeta. Secondo Benedetto XIV, il cardinale Lambertini che lo fece santo, il frate pugliese di Copertino ebbe ben 70 estasi e visioni. Jobs, giurano i suoi devoti, anche di più.
E sperano nel santo.