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 2009  gennaio 15 Giovedì calendario

BATTISTINI IN ITALIA? NO, PERSEGUITATO POLITICAMENTE


Cesare Battisti, 52 anni, militante dei Proletari Armati per il Comunismo, latitante da ventotto anni e condannato per quattro omicidi, secondo il ministro della giustizia brasiliano deve godere dello status di «rifugiato» poiché qualora venisse estradato da noi si potrebbe nutrire il «fondato timore di persecuzione politica nei suoi confronti».
La notizia è piombata ieri mattina nel nostro mondo politico provocando l’effetto di uno schiaffone mollato a freddo: prima incredulità, poi un diluvio di dichiarazioni di condanna assolutamente bipartisan e infine una mossa ufficiale del ministro degli Esteri. La Farnesina ha convocato l’ambasciatore del Brasile per esprimere tutta la sorpresa del nostro Paese. Nessuna intenzione di sindacare l’amministrazione della giustizia in Brasile, è chiaro, ma piuttosto l’invito a valutare meglio una presa di posizione politica.
Esiste ancora una possibilità: la Procura generale di San Paolo, che già si era pronunciata contro, può ricorrere alla Corte Suprema. Una decisione è attesa per i prossimi giorni.
In effetti la decisione del guardasigilli Tarso Genro ha colto di sorpresa anche l’opinione pubblica brasiliana. «Mi sembra una decisione precipitosa», commenta il presidente del Senato Alves Finho ed Heraclito Fortes, esponente dell’opposizione di centrodestra, dice che il ministro «ha agito per ragioni ideologiche o emotive».
Nella lunga storia del fuggitivo in effetti l’elemento emotivo e il sostegno ideologico sembrano averla fatta da padroni. Scappato dal carcere di Frosinone, dopo essere riparato in Francia Battisti si era spostato in Messico per mettere su famiglia. Nel 1990 il rientro a Parigi sotto l’ombrello della «dottrina Mitterrand» e di lì una lunga serie di udienze e ricorsi dinanzi alla giustizia francese, nel sostegno di gruppi e intellettuali di sinistra, fino alla decisione del 2004 che concedeva l’estradizione considerandolo non perseguitato ma criminale comune. Dunque una nuova fuga verso il Brasile fino all’arresto nell’estate del 2004.
Anche in Brasile l’estradizione sembrava dover seguire il medesimo iter: l’Italia ha continuato a insistere e dopo varie pronunce dei tribunali nello scorso novembre il Comitato nazionale per i rifugiati aveva respinto per tre voti contro due la richiesta di asilo politico. La marcia indietro dunque va attribuita interamente al ministro Genro, che però se ne assume la responsabilità si dice «tranquillo per avere preso la decisione corretta».
Interrogato dai giornalisti a San Paolo il ministro della giustizia afferma di non aver subito alcuna pressione politica: «Ho preso la mia decisione senza entrare nel merito della posizione dello Stato italiano ma ne ho informato il presidente Luis Ignacio Lula da Silva, il quale non è entrato nella questione delegando a me tutta le responsabilità della scelta». Però in serata l’avvocato di Cesare Battisti ha affermato che sarebbe stato il presidente francese Nicolas Sarkozy a fare delle pressioni sulle autorità brasiliane durante la visita ufficiale del dicembre scorso.
In realtà però la decisione del ministro tocca le posizioni dello Stato italiano, eccome. L’atto di riconoscere a Battisti lo «status» di profugo politico viene sostenuto da richiami perlomeno imbarazzanti allo Statuto dei rifugiati del 1951 e ad una legge del ”97 che parlano appunto del fondato rischio di persecuzione. La motivazione aggiunge poi che Battisti dopo la sua fuga dall’Italia dell’81 sarebbe stato condannato «sulla base di accuse non fondate su prove certe».
In effetti le sentenze della nostra magistratura si basano essenzialmente, ma non esclusivamente sulle testimonianze di Pietro Mutti, un «pentito», però i giudici sono ancora più stupefatti dei politici:«Questa è una decisione che sa di farsa», dice il procuratore aggiunto Armando Spataro, «ipotizzare che Battisti sia stato oggetto di persecuzione da parte della giustizia e dello Stato italiano segnifica offendere le persone che ha ucciso e che ha fatto uccidere». Quanto alle dichiarazioni di condanna del mondo politico c’è solo l’imbarazzo della scelta:«Fatto assai deplorevole»(Fabrizio Cicchitto»), «Decisione sbagliata» (Piero Fassino), «Ingiustizia è fatta» (Roberto Castelli),«Siamo assolutamente dispiaciuti e delusi» (Angelino Alfano), «Una notizia che mi ha choccato e ci offende» (Roberto Maroni).
Unica voce di dissenso è quella di Oreste Scalzone che parla di «ombra di ergastolo che non incombe più sulla vita di un uomo», aggiungendo però un elemento su cui vale la pena di riflettere. «L’Italia strilla e parla di anomalia - dice - ma negli ultimi anni ha chiesto estradizioni a sette Paesi fra cui Canada, Gran Bretagna, Giappone, Argentina, Nicaragua, e le estradizioni non ci sono state».