Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  gennaio 15 Giovedì calendario

LA PRIMA REGIA? "CILIEGINE" SULLA CARRIERA


L’idea di aver fatto una lezione di cinema a Bari, dentro la neonata manifestazione Per il cinema italiano organizzata da Felice Laudadio, fa sorridere Laura Morante. «Ho soltanto risposto ad alcune domande del pubblico: non mi sento un maestro». Eppure, dopo quasi trent’anni di mestiere, dal primo Oggetti smarriti di Giuseppe Bertolucci all’ultimo Molière di Laurent Tirard, la Morante, con la sua bellezza scura, quella faccia dove la curva delle sopracciglia fa da contrappunto alla curva delle labbra, quel collo che si erge sulle spalle nella tipica posizione di chi ha studiato danza classica, quello sguardo trasverso che le dona mistero, di cose da raccontare ne avrebbe molte. Non è un caso che, proprio adesso, abbia trovato il coraggio per passare dietro la macchina da presa e dirigere Ciliegine, una commedia a più voci che girerà in Francia, il suo secondo Paese, anche se a coprodurla ci sarà pure l’Italia. «Veramente non sono stata io a decidere. Ha deciso per me il produttore francese cui avevo portato la sceneggiatura scritta con Daniele Costantini, il padre della mia prima figlia. stato lui a dirmi: falla tu».
Lei ha accettato subito?
«Sì, certo».
Quindi voleva farlo?
« un mio vezzo giustificare le scelte imputandole agli altri. Anche quando ho cominciato questo lavoro m’è parso di non averlo deciso io, ma di essermi fatta trasportare dagli eventi. Un po’ di teatro, poi di nuovo la danza e alla fine il cinema. Ma sempre senza confessare che quello poteva essere davvero il mio mestiere. Non riuscivo ad ammettere che il cinema era un mio desiderio inconscio. Ci ho messo un po’ ad affezionarmi».
La lusinga o la infastidisce essere definita «l’attrice preferita di Nanni Moretti»?
«Chissà se Moretti sarebbe d’accordo, magari direbbe un altro nome. vero, con lui, a distanza l’uno dall’altro, ho girato Sogni d’oro, Bianca e La stanza del figlio, perché a Moretti piace lavorare con chi conosce. Con Silvio Orlando lo fa molto spesso. E questo rassicura un attore. Essere richiamato per la seconda o la terza volta dallo stesso regista significa che sei andato bene, che l’hai convinto».
Non è facile per una attrice italiana avere una carriera lunga come la sua: come c’è riuscita?
«Non facendomi vedere troppo, forse. Ho lavorato all’estero, molto in Francia per ragioni familiari. Questo, probabilmente, mi ha reso più longeva».
Sarà anche che ha fatto poca fiction.
«Me ne hanno proposta poca: io ne avrei fatta di più. Non sono contraria alla tivù, anche se preferisco il cinema. Il cinema mi piace tanto farlo come vederlo. E vederlo in sala. Il dvd non mi soddisfa».
Quali autori le sono più cari?
«Sono grata a tutti i registi che mi hanno affidato ruoli impegnativi. Anche in amore è così, cerco sempre rapporti in cui vengo messa in gioco, giudicata fino in fondo, mai lasciata in pace. un incoraggiamento a migliorare».
I nomi?
«Il primo naturalmente è Moretti cui sono legata da trent’anni. Poi Aranda che mi ha fatto recitare un personaggio estremo in Lo sguardo dell’altro. Paolo Virzì che mi ha permesso di far ridere in Ferie d’agosto. John Malkovich con cui ho girato Danza di sangue. Laurent Tirard che mi ha diretta da poco in Molière, una variazione fantasiosa sul grande commediografo.E poi Pupi Avati che mi ha voluta per Il nascondiglio e con cui probabilmente, tra poco, farò un altro film».
Lei ha due figlie: che pensa del ministro francese Rachida Dati che è tornata a lavorare dopo cinque giorni dal parto? un esempio da seguire o un modello da evitare?
«Anch’io ho allattato mia figlia mentre giravo in Argentina: ogni tre ore smettevo di recitare e attaccavo la bambina al seno. Se avessi fatto l’impiegata avrei preso i mesi di congedo che mi spettavano. Ma faccio l’attrice e non potevo lasciarmi sfuggire un’occasione. Ogni donna deve esser lasciata libera di comportarsi come vuole. A maggior ragione se è ministro».
La cosa più faticosa che l’è capitata ?
«Convincere un produttore italiano a finanziare questo mio primo film da regista. Non ho mai sofferto di mania di persecuzione, ma è stata davvero dura».