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 2009  gennaio 13 Martedì calendario

BANCHE, ATTENTI ALL’ANTITRUST


Tutto ciò che aumenta la conoscenza della nostra struttura economico-finanziaria è utile. Così è per il rapporto dell’Antitrust sul «capitalismo relazionale» in Italia. Ma vi sono contributi, in sé utili, che formulati in un momento sbagliato, e con indicazioni velleitarie, possono aumentare la confusione e, quindi, fare danno.

Condivido il parere di Giacomo Vaciago: «Auspicare, adesso, nel 2009, di cambiare sistema, secondo un modello più anglosassone è la cosa più provocatoria che abbia letto negli ultimi mesi».
Il rischio centrale è quello di confondere una caratteristica propria, antica e spiacevole del capitalismo italiano e cioè di un sistema chiuso, autoreferenziale e pieno di intrecci incestuosi (forse qualcuno si ricorda di Ernesto Rossi e di Ascarelli?) con le tumultuose vicende della crisi finanziaria globale dei nostri giorni.
Le cause e gli sviluppi della crisi attuale non c’entrano nulla con tale caratteristica del sistema italiano e sono piuttosto legate ad un eccesso di concorrenza e di mercato (anche se falsa, largamente manipolata e, in buona parte da soggetti esterni al sistema bancario). Caso mai la nostra struttura bancaria un po’ imbalsamata ha funzionato parzialmente da diga protettiva. Se le cause sono diverse è del pari fuorviante affermare che migliorare il sistema di «governance» delle banche e compagnie assicurative italiane, aiuterebbe a ritrovare la fiducia e, quindi, a superare la crisi. Sciocchezze! Come ha scritto bene Orazio Carabini (Il Sole 24 Ore) la grande crisi anzi aiuta e sostiene il capitalismo relazionale.
Lasciamo dunque stare la grande crisi sia nelle cause che negli sbocchi, e parliamo del nostro sistema caratterizzato da centri di potere fortissimi, bloccati e intangibili, patti di sindacato, intrecci azionari, «interlocking directorates».
Tale è il nostro sistema da lungo tempo e negli ultimi decenni era dominato da personaggi provenienti o, comunque, sostenuti dalle cosche dei partiti. Arcaini, presidente dell’Italcasse, aveva una lista di incarichi che non stavano in una pagina di giornale. rimasto memorabile il lamento che egli elevò quando la magistratura lo attaccò non ricordo più per quale motivo: «Mi vogliono sottrarre i miei posti!». Né credo possibile nutrire nostalgia per chi ha portato alla rovina il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e tante altre banche minori. No! Non ho nessuna nostalgia dei tempi andati.
La ristrutturazione bancaria degli Anni 90 è stata una grande occasione. In parte è stata un’occasione perduta. Non parlo con il senno di poi. Fui una delle pochissime voci critiche sul modo con cui fu costruito il processo di ristrutturazione e consolidamento. La mia critica si accentrò su quattro punti che formulai soprattutto riferendomi al periodo del governatore Fazio: si inseguivano solo le grandi dimensioni fini a se stesse che erano considerate un bene in sé; le persone amiche erano più affidabili e brave di altre; era totalmente assente la categoria interesse del cliente (se ricordo bene il primo a parlarne fu Draghi, nella prima relazione da governatore, a cose fatte); era totalmente assente la categoria management e cultura aziendale. Come se le banche venissero gestite dagli azionisti. Tutto era dominato dall’assillo degli equilibri di potere.
Così oggi abbiamo quello che è stato seminato. Un sistema bancario più solido e forte di prima, ma drammaticamente concentrato, uno dei più concentrati se non il più concentrato del mondo. L’assetto di «governance» sul quale l’Antitrust ha lanciato il suo vano e tardivo allarme è funzionale al sistema bancario e finanziario voluto dai reggitori. «Non distruggete le vostre banche territoriali», mi disse allora un importante banchiere inglese; «è un patrimonio prezioso, magari lo avessimo noi». «Ma perché volete trasformare in SpA il SanPaolo e il Monte dei Paschi di Siena, rovinando qualcosa che ha funzionato bene per oltre cinquecento anni?», mi chiese, in quegli anni, Hyman Minsky, un importante economista americano specialista in materia finanziaria, di grande esperienza.
 andata così. un po’ come in Russia dove gli alti funzionari del Kgb si sono riciclati come supercapitalisti. Ma oggi non ci sono spazi per divagazioni salottiere. Sono tempi di ferro. L’unica cosa che si può fare è far funzionare, in modo decente, quello che c’è. Io credo che gli intrecci denunciati aprano dei temi grossi, sulle decisioni grandi che attengono al funzionamento stesso della democrazia. Ma sul fronte della concorrenza operativa, il sistema bancario è decentemente concorrenziale. Recentemente ho dovuto gestire un paio di selezioni per dei finanziamenti importanti coinvolgenti una decina di banche e sono rimasto sorpreso dalle notevolissime differenze tra gli «spread» quotati dalle varie banche, in funzione delle diverse condizioni di liquidità, parametri patrimoniali, rapporti tra impieghi e patrimonio.
Oggi l’unica cosa che le autorità di sorveglianza, l’opinione pubblica libera e la magistratura possono fare è di vigilare che gli intrecci in parola non si traducano in eccessi, abusi, arbitrii, favoritismi, rischi eccessivi, corruzioni, improprie influenze sul potere politico. Mentre il sistema delle imprese aperte alla concorrenza (che rappresentano il grosso dell’economia italiana), deve rispondere alla situazione di superconcentrazione di strapotere della ristretta casta bancaria, cercando di puntare sul proprio «cash flow», mantenendo un livello moderato di indebitamento, e al contempo deve ampliare i propri rapporti con le banche popolari residue, con le banche autonome territoriali e, ancor più, con le banche di credito cooperativo. Qui l’Antitrust entra in palese contraddizione. Queste strutture sono le uniche strutture bancarie, articolate, decentrate, democratiche, autonome, dove si tengono delle assemblee vere, dove i clienti e i dipendenti aziendali hanno voce, dove il cliente conta, dove il territorio ed il progetto di sviluppo del territorio conta. Sono l’unica devianza da un sistema di potere superconcentrato! E l’Antitrust vorrebbe farle sparire e mettere anche loro nel mucchio. Salvo poi lamentarsi se gli incroci azionari e gli «interlocking directorates» aumenteranno ulteriormente.