Alessandro Barbera, La Stampa 13/1/2009, 13 gennaio 2009
I TEDESCHI VOLEVANO UNA FUSIONE MASCHERATA
Domattina alle nove ci vediamo, così capiamo subito se fanno i furbi o meno». A metà pomeriggio del giorno più lungo della sua carriera, l’amministratore delegato della nuova Alitalia Rocco Sabelli è al cellulare in una stanza anonima e spoglia alla periferia ovest di Roma. Il sesto piano della sede della ex compagnia di bandiera sembra un palazzo d’inverno conquistato. L’etereo corridoio in legno massiccio pullula di gente che passeggia nervosamente da una stanza all’altra. Qua e là sulle porte campeggia qualche targhetta di fortuna.
Dottor Sabelli, valeva la pena spendere tre miliardi di euro dei contribuenti per mantenere l’italianità di Alitalia?
«E’ una valutazione che non mi spetta. Io le posso rispondere alla domanda se fosse una operazione sensata. La risposta è sì».
Perché?
«Perché sono convinto che i quartieri generali delle nostre grandi aziende - di qualunque settore esse siano - debbano restare in Italia».
Perché avete scelto Air France-Klm e non Lufthansa?
«Si sono mostrati più determinati perché più deboli dei tedeschi sul mercato italiano. Hanno accettato di avere un ruolo di minoranza, e inoltre i tempi per l’integrazione con i tedeschi sarebbero stati lunghissimi. Pensi che per riscrivere gli accordi di partnership con le compagnie americane di Star Alliance ci sarebbe voluto fino ad un anno».
Letizia Moratti ieri mattina diceva che i tedeschi erano pronti con un’offerta.
«Non hanno mai fatto un’offerta. Eppure la nostra porta è stata sempre aperta».
I tedeschi erano disposti a investire solo se avessero avuto la maggioranza?
«Volevano comunque una quota superiore al 25%».
La lobby milanese dice che i tedeschi avrebbero avuto una strategia multi-hub favorevole a Malpensa, mentre i francesi prima o poi ci obbligheranno a partire per il mondo da Parigi.
«A dispetto delle apparenze, Lufthansa è molto attenta a difendere la capacità dei propri aeroporti di riferimento, Monaco e Francoforte. E poi, durante i colloqui, era emersa la richiesta di versare i proventi derivanti dalle sinergie in un fondo comune. Una sorta di fusione mascherata».
D’altra parte le clausole di lock-up che vincolano i soci italiani a non vendere azioni a Parigi saranno nulle non appena la nuova Alitalia, fra tre anni, potrà essere quotata. Non è così?
«E’ così. Mi permetta però di dire che non condivido questa accanita discussione sul futuro ipotetico. Io valuterei l’operazione per quello che è oggi».
Fra le figure previste dall’accordo con i franco-olandesi c’è un «mergership manager»: il mandato è triennale e rinnovabile. Il primo verrà scelto da Parigi. Perché?
«Perché non abbiamo complessi e sappiamo quanto sia alta la loro professionalità. E’ comunque una figura di raccordo fra i rispettivi organi decisionali senza alcun potere esecutivo».
Ha mai pensato di non arrivare in fondo a questa partita?
«Quando ci siamo ritirati il 18 settembre per via dello scontro con i sindacati qualche dubbio l’ho avuto».
Siamo a gennaio e i sindacati confederali, coloro che vi hanno sostenuto contro Anpac e autonomi nella trattativa, sono ancora sul piede di guerra. Sistemerete tutto entro domani?
«Figuriamoci, non mi illudo. Di problemi da risolvere ce ne sono e ce ne saranno ancora moltissimi».
E’ vero che i confederali sono in agitazione perché non volete scegliere la società di pulizie più gradita a loro?
«E’ vero. Noi abbiamo scelto una società, Pegaso, che non applica formalmente il contratto di Assoaeroporto. Ma abbiamo assicurato che si allineeranno a quel contratto».
Non teme la conflittualità dei piloti? L’Anpac è fuori degli accordi.
«Ai piloti abbiamo offerto il contratto da dirigenti, e li consideriamo componente fondamentale del management. Vorrei si sentissero orgogliosi e motivati».
Ci sono state polemiche su alcune mancate assunzioni, dal leader di Up Massimo Notaro a quello di Sdl Andrea Cavola. Avete fatto epurazioni mirate? Ed è vero invece che assumerete i leader dell’Anpac, Fabio Berti e Stefano De Carlo?
«A ciascuno sono state applicate le regole sulla base dei criteri di assunzione stabiliti. Per quanto ne so, credo che Berti abbia ricevuto la lettera, De Carlo no».