Luigi Ferrarella, Corriere della sera 14/1/2009, 14 gennaio 2009
LA CANCELLIERA AVVISAVA L’INDAGATO. PER AMORE
«Ti posso solo consigliare di stare attento... Ti dico solo: occhio. Neanche dovrei dirtelo, però questo te lo dico da amica...». Il favoreggiamento a un albanese sotto inchiesta per un pesante giro di sfruttamento della prostituzione? Arrivava proprio dal cuore amministrativo della Procura di Milano, la «Cancelleria Centrale », dove una operatrice giudiziaria, che gli era legata da rapporti sentimentali a tratti anche burrascosi, gli dava notizie attinte nel «Registro generale notizie di reato» (Re.Ge.) attraverso la password di cui legittimamente disponeva per svolgere il proprio lavoro. Finito il quale, la cancelliera andava a fare un secondo lavoro, «in nero », presso uno studio di commercialisti: 800 euro al mese, una «stabile retribuzione» che per l’accusa non ricompensava soltanto il disbrigo della contabilità di studio, ma anche una «costante disponibilità» dell’impiegata della Procura a interrogare il sistema informatico per fornire notizie segrete richieste dai commercialisti in contatti intercettati da Squadra Mobile e Commissariato Monforte di Milano.
Coincisa per caso proprio in un’altra giornata di tilt a livello nazionale della rete informatica del ministero della Giustizia a causa di un doppio guasto, la messa ieri agli arresti domiciliari dell’operatrice giudiziaria della Procura, decisa dal gip Antonio Corte su richiesta del pm Antonio Sangermano, alimenta una casistica che a Milano sta assumendo rilievo statistico. Anche senza contare le violazioni di banche dati delle forze dell’ordine contestate a numerosi agenti incriminati nell’inchiesta sulla Security di Telecom-Pirelli, infatti, nel giro di poco tempo la magistratura milanese ha perseguito con arresti o incriminazioni, per fughe di notizie a indagati o a investigatori privati o comunque a persone non autorizzate, la segretaria dell’allora procuratore aggiunto Vitiello; un sottufficiale in forza al Comando Regionale della Guardia di Finanza; uno stretto collaboratore dell’ex pm di Mani pulite Gherardo Colombo; un investigatore privato intermediario di un’allerta su intercettazioni "soffiata" da una talpa invece non individuata in una inchiesta sul costruttore Gavio; due cancellieri dell’Ufficio Gip, un giudice onorario del Tribunale di Sorveglianza, e due avvocati; tre vigili urbani in in Procura; l’ex capo milanese del Ros dei carabinieri (che però, dicendosi sicuro di poter dimostrare estraneo al rimbalzo sui giornali di notizie su un traffico di droga, ha chiesto d’essere giudicato con rito abbreviato in marzo).
Già nell’interrogatorio di oggi la difesa della 37enne Rossella Tecce punterà a spezzare il nesso tra lavoro in «nero» e notizie ai commercialisti (base dell’accusa di corruzione), e tra gli accessi al Re.Ge. e l’indagine sull’albanese (ipotesi di favoreggiamento). L’aspetto generale più rilevante, infatti, è che per il super-provato reato di «accesso abusivo al sistema informatico » il pm non ha ottenuto l’arresto perché non ha convinto il gip a scostarsi dalla sentenza di Cassazione del maggio 2008: in base ad essa, non commette questo delitto chi acceda al sistema avendone titolo (cioè con la propria password
d’ufficio), sia pure se poi lo consulta per finalità illecite. Così si creerebbe «un vuoto di tutela», ha provato ad obiettare il pm, pensando alla possibilità che un cancelliere, nel consultare il sistema, possa scoprire d’essere indagato e autofavoreggiarsi. Ma per il gip, «a eventuali esigenze di tutela emergenti dalla pratica si dovrà rispondere con nuove disposizioni».