Franco Foresta Martin, Corriere della sera 14/1/2009, 14 gennaio 2009
ITALIA, L’ENERGIA DEL VENTO IN UN ANNO IL 37% IN PIU’
Il dato è di questa settimana. Chiusi i conti relativi al 2008 è risultato che l’energia del vento in Italia ha avuto un balzo insperato, passando da 2.726 megawatt di potenza totale installata a 3.743 megawatt. Più di mille megawatt aggiuntivi, pari a una crescita record del 37%. Nel corso del 2008, i 3.640 aerogeneratori installati nel nostro Paese, hanno prodotto oltre 6 miliardi di kilowattora, cioè il 2% dei consumi elettrici, e alimentato i bisogni di 6,5 milioni di italiani. Non sono ancora disponibili le esatte prestazioni degli altri Paesi europei nell’anno appena trascorso, ma sembra che intanto abbiamo risalito la classifica e conquistato il terzo o quarto posto per potenza eolica installata, dopo Germania, Spagna e probabilmente Francia. Salvo il fatto che potremmo perdere tale posizione se non si continuasse a mantenere il passo appena intrapreso.
I dati aggiornati, assieme a un certo stupore degli stessi operatori del settore, arrivano da un tavolo tecnico formato da Enea, associazioni dell’eolico e delle rinnovabili, gestori del sistema elettrico e della rete di trasmissione, che si riunisce ogni anno con il proposito di fare il punto della situazione.
Lo stupore sul risultato positivo deriva dalla consapevolezza che l’eolico in Italia è come una Ferrari che corre con la leva del freno a mano tirata: si sviluppa, ma non tanto quanto potrebbe e soprattutto molto meno di quello dei partner europei con cui abbiamo l’ambizione di confrontarci. «Resta il fatto che Germania e Spagna, i Paesi in testa alla classifica europea, ci subissano e, nonostante la nostra crescita, il distacco fra loro e noi continua a crescere – lamenta Simone Togni, segretario generale dell’Associazione nazionale di energia del vento (Anev), che riunisce oltre il 70% dei produttori di elettricità del settore ”. La Germania, per esempio, nel 2007 (l’ultimo anno di cui si hanno dati certi) ha impiantato aerogeneratori per 1.667 megawatt, arrivando a un totale di 22.247 megawatt, cioè quasi dieci volte più di noi, e tutto ciò con un territorio meno ventoso del nostro».
L’insoddisfazione per lo sviluppo frenato dell’eolico non è immotivata: alla fine dell’anno scorso il nostro Paese, pur con qualche mal di pancia, ha condiviso l’approvazione del pacchetto energia-clima dell’Unione Europea. Entro il 2020 l’Europa, in media, dovrà raggiungere il 20% di rinnovabili e altrettanto di efficienza energetica e di riduzioni dei gas serra (in Italia l’obiettivo delle rinnovabili è del 17%). E l’eolico appare oggi, fra le rinnovabili, la forma di energia più adatta per tagliare il traguardo.
Ma quali sono i lacci che impediscono all’eolico italiano di decollare come in altri Paesi? «Da noi ci sono iter autorizzativi che durano in media cinque anni, invece che tre mesi come in Germania – riferisce Togni ”. E ciò nonostante la normativa europea preveda un massimo di 180 giorni, cioè sei mesi, per esaurire tutte le verifiche e approvare o respingere i progetti di installazione delle turbine eoliche».
Aggiunge Luciano Pirazzi, che per l’Enea gestisce un meticoloso osservatorio degli sviluppi dell’eolico, valutati anno dopo anno: «Quando un impianto è realizzato e pronto a partire, spesso ci vogliono altri mesi di attesa per ottenere il collegamento alla rete elettrica, la quale, purtroppo, non è adeguata a questo tipo di impianti molto dispersi sul territorio, e prevalentemente collocati in regioni, come quelle del Sud, strutturalmente carenti di reti di trasmissione e distribuzione ». Terna, Enel e le aziende municipalizzate si stanno dando molto da fare per colmare queste lacune, aggiunge Pirazzi, ma resta ancora molto lavoro da portare avanti.
A dispetto degli impedimenti autorizzativi la fiducia degli investitori italiani, alimentata dal boom dell’eolico fuori dei confini nazionali, a cui prima o poi converrà adeguarci, resiste. Anche perché qualche segno positivo è già arrivato. «Un provvedimento Scajola-Prestigiacomo dell’anno scorso assicura ai produttori maggiori ritorni economici grazie alla più facile commerciabilità sul mercato dei certificati verdi ottenuti dalle aziende elettriche che investono nel vento», spiega Togni. In pratica chi, rispettando l’obbligo della produzione di una quota di circa il 4% di energia elettrica con rinnovabili, ottiene certificati verdi li può vendere a buon prezzo a chi non ce l’ha fatta a raggiungere l’obiettivo ed è costretto all’acquisto dei titoli ecologici.
E’ in dirittura d’arrivo un altro provvedimento che impone la regolamentazione delle quote di eolico da installare nelle varie regioni, in modo tale che gli investitori possano programmare gli impianti senza sorprese, com’è accaduto, per esempio, in Sardegna e in Sicilia, dove ci sono stati pronunciamenti degli enti locali contro gli aerogeneratori. Tutta questa materia dovrebbe finalmente essere coordinata da un Osservatorio nazionale per le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica, da poco rilanciato e affidato al direttore generale dell’Ambiente Corrado Clini. Sarebbe proprio grazie alle novità già introdotte o attese se l’anno scorso si è guardato con più fiducia agli investimenti nell’eolico e si è registrato l’insperato successo dei mille megawatt in più.
«Si tratta di una performance positiva che si potrebbe ripetere anche quest’anno – prevede Pirazzi – e che potrebbe allinearci a Paesi come Regno Unito, Francia e Portogallo, che sono abbastanza vicini a noi in classifica e che stanno andando molto bene, grazie a un forte consenso sociale e a una politica energetica delle rinnovabili favorevole e condivisa ».
In Italia, su cento impianti eolici progettati e sottoposti alle verifiche e alle approvazioni previste dalla legge, se ne realizzano appena venti. Come dire che c’è l’80% dei fallimenti.
In Germania e in Spagna è esattamente l’opposto: su 100 se ne realizzano 80 e i progetti scartati sono solo venti.
La statistica, presentata dall’ingegner Luigi La Pegna, responsabile Pianificazione e coordinamento degli impianti Enel Green Power Italia, traduce in numeri concreti lo sviluppo frenato dell’eolico in Italia. Ma per conoscere le ragioni di un così alto numero di flop, più che tanti discorsi astratti sui rallentamenti normativi e sui pregiudizi contro i moderni mulini a vento, valgono alcuni esempi.
«A Fiastra, nelle Marche, a debita distanza dal parco dei Monti Sibillini, Enel ha iniziato tre anni fa l’iter autorizzativo per l’impianto di 5 torri eoliche – racconta La Pegna ”. Per evitare interferenze con il Parco ci teniamo a 7-8 km dai confini. Ma il progetto viene bollato come "grave fattore di minaccia per gli ecosistemi". Si invoca una fascia di rispetto ma non si precisa quanto deve estendersi dai confini del Parco. E poi, prima di dare l’autorizzazione, vengono richiesti studi sulle eventuali interferenze con i chirotteri (pipistrelli) e sulle aree di riproduzione di rettili e anfibi».
Morale della favola: una realizzazione che poteva essere conclusa in 3-5 mesi, richiederà alcuni anni. A Frosolone, Molise, gli impianti eolici, 8 torri in tutto, ci sono da 15 anni, racconta ancora il dirigente Enel. Ma era giunto il momento di rinnovarli: stesso numero, stessa altezza, nuove tecnologie. Per ottenere il visto sulle sostituzioni ci sono volute undici diverse autorizzazioni e tempi tripli rispetto ai sei mesi previsti dalla legge. «Quando abbiamo ottenuto tutti i timbri necessari, il foglio dell’autorizzazione era ormai illeggibile». dice La Pegna.
Il record italiano dell’attesa prima del «visto, si costruisca» sembra che spetti all’impianto eolico di Macchiagodena, in Molise, dove un campo eolico formato da 20 pale ha richiesto sette anni di istruttoria e, alla fine, è stato completato solo pochi mesi fa.
Ma ci sono anche i casi di impianti che, pure approvati, sono rimasti a metà, strappando al vento solo un sibilo, invece della sperata energia. E’ successo a Balascia, in Sardegna, dove l’impianto eolico aveva già ottenuto l’autorizzazione, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 2004, ed erano iniziati i lavori per la costruzione dei basamenti delle torri. Ma nello stesso anno arriva pure una legge «salva coste» che blocca gli impianti eolici, anche quelli in costruzione.
«I lavori preparatori del terreno e le prime infrastrutture sono diventate come cattedrali nel deserto e 16 milioni di euro sono rimasti inutilizzati», commenta l’ingegner La Pegna.
Di fronte a questi casi limite i produttori eolici italiani, che pure continuano a credere nelle possibilità di sviluppo di questa fonte di energia rinnovabile nel nostro Paese, chiedono che gli iter autorizzativi non siano più una via crucis. «Per ora, per ogni impianto, bisogna ottenere permessi e nulla osta da 25 a 40 soggetti diversi – spiega l’ingegner La Pegna ”: Ambiente, Lavori Pubblici, Comunicazioni, Genio Civile, assessorati vari, Esercito, Aeronautica, Marina, Corpo Forestale, Anas… Per di più, dal 1999, col il decentramento di molte deleghe, la situazione si è complicata. Nonostante un intervento legislativo nazionale del 2003 preveda per le rinnovabili l’autorizzazione unica della durata massima di sei mesi, ogni regione fa per conto suo».
Su cento progetti di impianti a energie rinnovabili avviati e portati a compimento da Enel negli ultimi anni, quasi nessuno ha ottenuto l’autorizzazione entro il limite massimo di sei mesi previsto dalla legge: quando è andata bene sono stati necessari due anni prima del via.
I permessi
I produttori di aerogeneratori chiedono di non dover più rivolgersi a 25-40 soggetti diversi per ottenere i nulla osta.