Alessandra Longo, la Repubblica 14/1/2009, 14 gennaio 2009
RUTELLI LODA BERLUSCONI: CI AVVICINO’ A ISRAELE
Come può il Pd «contribuire alla pace in Medio Oriente»? Dopo le polemiche interne dei giorni scorsi, il partito vuol esibire compattezza, organizza un convegno, chiama l´ambasciatore israeliano e quello dell´Autorità palestinese, schiera tutti i suoi uomini più rappresentativi accanto al segretario Veltroni. Ma saranno scintille. Ecco il pensiero di Francesco Rutelli: «Credo che, alla luce dei fatti, una linea di maggior equilibrio della nostra politica verso Israele sia giusta e equilibrata». Massimo D´Alema ascolta ed è subito smorfia. «Sarò brusco», dice Rutelli. E loda quella «discontinuità», quella maggior sintonia nei confronti di Tel Aviv introdotta dal governo Berlusconi dal 2001 al 2006 (In serata preciserà: «Non condivido la linea del governo in carica oggi»). L´ex leader della Margherita fa ammenda anche sul Muro: «Penso che la nostra campagna di ostilità fu prevalentemente errata. Quella barriera è stata utile per arginare il terrorismo suicida». «Quella barriera - gli controbatte seccato l´ambasciatore dell´Anp a Roma Sabri Ateyeh - separa la nostra gente, è un crudele Apartheid. Sogno il giorno in cui quel muro non esisterà più e i miei figli potranno circolare e mescolarsi ai figli degli israeliani».
Una linea unica del Pd sulla vicenda mediorientale? Senti Rutelli e poi, in sequenza, Massimo D´Alema. L´ex ministro degli esteri è reduce da un incontro con la stampa estera. Ha già detto come la pensa: «In Italia criticare Israele è un tabù», i media italiani sono quasi tutti, «non tutti», filo-israeliani. Per sfuggire ai «bollettini» della televisione nostrana si finisce per guardare Al Jazeera che ha dunque «un impatto enorme». Sì, lo «indignano le bandiere di Israele bruciate, ma l´opinione pubblica italiana è molto più scossa per i bambini di Gaza uccisi». Gideon Meir, ambasciatore israeliano a Roma, lo aspetta al varco: «Spiace che non si deplori a sufficienza il rogo di una bandiera - dice, prendendo la parola accanto a Walter Veltroni, curvo sugli appunti - e trovo offensivo paragonare la copertura dei media italiani sulla crisi di Gaza a quella fornita dalla televisione araba». Controrisposta secca di D´Alema: «Se l´ambasciatore si riferisce a me, preciso: Non ho mai fatto comparazioni. Ribadisco che solo Al Jazeera è sul posto anche perché Israele, sbagliando, non autorizza i giornalisti ad entrare nella Striscia».
Massimo D´Alema e Walter Veltroni siedono accanto. Tre ore di politica estera, lontani dalle contorsioni di casa. C´è anche Piero Fassino cui tocca, da pontiere, la sintesi scritta della linea del partito: «Hamas, come precondizione imprescindibile, riconosca Israele o altrimenti sarà fuori dal processo di pace». Fassino, a pagina 5, precisa: «Hamas non è solo un´organizzazione militare ma un movimento politico di vasto consenso». Quel che dice Massimo, quel che non piace a Franco Marini: «Piero, questa frase è il punto debole della tua relazione». Trattare o no con gli attuali padroni di Gaza? D´Alema non ha dubbi: «Mi si vuole dipingere come socio di Hamas, cosa che non sono affatto. Nessuno chiede a Israele di negoziare un trattato di pace con Hamas, io chiedo a Israele di trattare con Abu Mazen. Ma con Hamas, questo sì, bisogna trattare la tregua perché Hamas non è un gruppetto di terroristi nascosti tra la gente ma 25 mila attivisti, quasi uno per famiglia. Che sia questa la strada non lo dice qualche matto ma una risoluzione dell´Onu...». E ancora: «Rinunciare ad analizzare politicamente Hamas sarebbe un grave errore intellettuale. I problemi non si risolvono uccidendo dirigenti e militanti come pensa la mia amica Tzipi Livni». Il rischio, dice D´Alema, è di trasformare la questione palestinese nel «simbolo della jihad globale», il rischio è che «l´azione di Israele» rafforzi l´elemento fondamentalista di Hamas e crei una nuova spirale di terrore, anche in Europa.
L´ambasciatore Meir ovviamente non la pensa così: «Hamas non ha più anime, è una sola, con dietro l´Iran che la gestisce. Loro vogliono un unico Stato islamico al posto dello Stato d´Israele». Chiude Walter Veltroni. Non gli piace l´idea di un´Italia e di un´Europa schierate («Siamo amici sia degli israeliani che dei palestinesi»). Condivide, «con D´Alema», l´interesse per la posizione più morbida dell´amministrazione americana, difende il primato necessario della politica: «Cessi il linguaggio delle armi, si riannodi il filo della trattativa tra le forze moderate». Novemila razzi sono piovuti su Israele. Veltroni solidarizza con l´ormai irritato ambasciatore Meir: «Lei ha ragione. Il silenzio della comunità internazionale è una cosa grave, sbagliata, ma Israele deve rendersi conto che quel che succede a Gaza ci provoca molta inquietudine e angoscia».