Armando Zeni, La stampa 14/1/2009, 14 gennaio 2009
I MISTERI DEL DRAKE DELLA PIASTRELLA
Dicono che il giorno dopo aver messo in liquidazione l’Iris, Romano Minozzi sia andato a caccia, la sua passione fuori dal lavoro (con le Ferrari che tiene nel garage di casa a Modena), nella riserva sull’Appennino reggiano, per scaricare la tensione e mettersi il mondo alle spalle. Ma anche per fuggire le tante domande che dopo la sorpresa e l’incredulità per l’annuncio improvviso della chiusura di uno dei gioielli della piastrella made in Italy, triste regalo di una Befana che anticipa (parole sue) «l’era glaciale», sono rimbalzate tra i 780 dipendenti dei tre stabilimenti a rischio e tra gli operai delle cento aziende, piccole, medie e grandi che fanno di Sassuolo, Fiorano e Casalgrande il triangolo d’oro - 4,5 miliardi di fatturato - della ceramica.
Un «imprenditore intelligente», parola di Graziano Pattuzzi, sindaco pd di Sassuolo. «Imprenditore con visioni moderniste», parola di Edmondo Berselli. Ritratto, a dirla tutta, su cui non tutti concordano. Giorgio Squinzi, per esempio, patron della Mapei, che di Sassuolo e delle piastrelle conosce vita, morte e miracoli e che del Sassuolo Calcio è presidente: «Non sono sicuro - dice Squinzi di Minozzi - che abbia una visione etica e sociale dell’impresa». Insomma, il mito è pronto per una revisione, magari con la sottolineatura della spregiudicatezza dell’uomo che in quest’angolo di Emilia dei miracoli, terra natale del ”drake” Enzo Ferrari, mito inarrivabile, è stato a lungo esempio di capacità, creatività.
Modello da seguire, il Minozzi, fino a ieri almeno. Fino alla dichiarazione di resa giustificata dalla certezza della fine imminente della società del benessere e l’inizio dell’era glaciale: vendite crollate del 40% in due anni, fatturato del 46%, colpa dei cinesi entrati nel settore con la forza dei loro bassi costi, colpa della crisi dell’immobiliare, della sfiducia che genera sfiducia.
Apriti cielo! L’uomo duro, solitario ma geniale, abituato a sbattere la porta (l’ha fatto nel 1992 uscendo da Confindustria), ma mai ad arrendersi e che adesso teorizza la liquidazione: meglio salvare il patrimonio e via. Ma cosa dice e con quale secondo fine? Già perché un secondo fine ci deve pur essere. E così il battitore libero Minozzi finisce all’angolo, contestato da tutti. Dal sindacato («Tolga di mezzo la messa in liquidazione e trattiamo», chiede Manuela Gozzi della Filcem-Cgil). E dalla Confindustria ceramica che, pur non nascondendo le difficoltà, il forte ricorso alla cassa integrazione nel settore, la flessione del 6,4% nella produzione 2008, se ne guarda bene dall’alzare bandiera bianca.
E lui, il Minozzi, che dice? «Personalmente non sto certo scappando, così come non sono mai scappato nella mia vita», scrive al segretario provinciale della Cisl di Modena Francesco Falcone. Dopo averle provate tutte, spiega, «è necessariamente prevalso il senso del dovere istituzionale che impone agli amministratori di non dissipare il patrimonio sociale e di agire di conseguenza»
L’uomo dell’Iris non avrà seguaci, dice comunque il sindaco Pattuzzi. Più cauto il sindacato dove si teme che crisi economica e concorrenza cinese possano mettere a rischio il 40% della produzione di fascia bassa e medio bassa, accennando così a una possibile spiegazione della mossa a sorpresa di Minozzi che, pochi giorni prima della liquidazione di Iris Ceramica, ha assunto la presidenza di Graniti Fiandre, altro gioiello di famiglia quotato in Borsa che soffre meno la crisi facendo segnare solo un calo dello 0,48% nel fatturato e un balzo (del 25%) negli Usa.
L’obiettivo, in sintesi, potrebbe essere il taglio di Iris («La minaccia della liquidazione punterebbe a una nuova società con organici ridotti a un terzo», aggiunge il sindaco Pattuzzi) per concentrarsi sulle produzioni di fascia alta e di maggior qualità della Graniti, Iris ridimensionata e in parte ceduta: qualche voce di trattativa circola, chi dice con i francesi di Saint Gobain, chi rivela un interesse di Marazzi, trattative non si sa se nate sul serio o se stoppate dalla crisi del credito. Intanto, col silenzio dei protagonisti, le supposizioni crescono. C’è chi ricorda gli investimenti finanziari di Minozzi, l’intervento nel 2001 in Consortium (su richiesta di Vincenzo Maranghi) che gli ha aperto le porte (con uno 0,11% intestato a lui personalmente) nel capitale e nel patto di sindacato di Mediobanca. Chi immagina clamorosi cambi di settore dopo l’acquisto di un 4% di Technogym. E chi addirittura il ritiro dalla scena di un settantatreenne che, con tre figlie come eredi, non vedrebbe più il futuro del gruppo in famiglia. «Tutte balle», contesta uno dei più fedeli compagni di caccia, sicuro che il ritiro non stia nel Dna dell’amico.