Elsa Muschella, Corriere della Sera 13/1/2009, 13 gennaio 2009
WASHINGTON
Ironico con se stesso, cordiale con Obama; ora incatenato alla nostalgia, ora sollevato da un senso di libertà; a volte umi-le, ma il più spesso combattivo: così George W. Bush è apparso ieri alla sua ultima conferenza stampa alla Casa Bianca, la prima dalla metà del luglio scorso. Non è stato il suo canto del cigno: giovedì notte, quattro giorni prima dell’ insediamento del successore, W. terrà un discorso di commiato alla nazione basato, dicono i portavoce, «su drammatiche storie di eroismo» dei difensori delle libertà americane. Ma parlando ai giornalisti di cui, ha assicurato con una punta di veleno, «ho molto rispetto», il presidente ha inteso evidenziare il suo lascito a Obama, la lotta al terrorismo: «Il terrorismo è il più pressante dei pericoli. Il nemico cerca ancora di colpirci in casa e fuori». E con le lacrime agli occhi ha rievocato la strage della Torri gemelle del 2001, «una terribile tragedia che ci ha cambiati per sempre».
Chi s’aspettava un Bush pentito per i molti insuccessi, o almeno introspettivo per le amarezze sofferte, è rimasto deluso. Il presidente bifronte, così spontaneo e amichevole in privato, ma così caparbio e aggressivo in pubblico, ha ignorato i primi e minimizzato le seconde. Si è congedato dai media come li aveva incontrati, con un tono di sfida, affidandosi al giudizio della storia. Bush, che lascia a Obama anche l’eredità economica più pesante dal «crack» del 1929 - «sono arrivato durante una recessione, me ne vado durante un’altra», ha evidenziato - ha ammesso qualche errore, come l’avere proclamato «Missione compiuta » in Iraq nel 2003 quando atterrò su una portaerei. Ma si è indignato quando un giornalista gli ha chiesto se il conflitto e i suoi scandali, le torture dei terroristi innanzitutto, non abbiano sminuito la statura morale dell’America, e quando un altro ha rievocato i tardivi aiuti a New Orleans dopo l’uragano Katrina, due macchie sulla sua Presidenza. A parte pochi critici europei, ha protestato Bush, il mondo conserva un’alta opinione di noi, le torture ad Abu Grahib furono per me una tremenda delusione. E a New Orleans, i soccorritori portarono in salvo in pochi giorni 30 mila persone salite sui tetti delle case.
Dalla conferenza stampa, in un clima di smobilitazione, con pochi giornalisti in attesa e nessun «big» delle tv, è emerso tuttavia il volto umano di Bush. «Non so che cosa farò», ha dichiarato. «Non sono tipo da sdraiarmi su una spiaggia alle Hawai, preparerò il caffè a Laura al mattino al mio ranch nel Texas, vedremo ». E ancora: «Sarò contento di sedere in prima fila, la settimana prossima al passaggio delle consegne a Obama, un momento storico che la dice lunga sui progressi razziali nel nostro Paese». Il presidente ha indugiato sul vuoto che, ha confessato, avvertirà al non ricevere più l’intelligence ogni mattino. E ha concluso con alcuni consigli a Obama: perseguire la formazione di due stati, Israele e Palestina in Medio oriente, l’unica pace possibile; risolvere le crisi con l’Iran e la Corea del nord, che peraltro non ha più definito «canaglia»; cercare di unificare l’America con un dibattito politico civile. Ha così evitato che il confronto con i giornalisti assumesse l’aspetto del processo al bushismo, una politica di grandi ambizioni, ma spesso sconfessata dagli eventi.
In ogni addio di un presidente, che abbia fatto bene o male, ci sono melanconia e rimpianti. Bush ha tradito l’una ma non gli altri. «Non è vero che la Presidenza sia un peso, è una attività emozionante ».