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 2009  gennaio 10 Sabato calendario

SEGNALI DI EUFORIA AL TEMPO DEL "CREDIT CRUNCH"


In un volumetto uscito nel 2007 per Donzelli, «L’ultima copia del "New York Times"», il giornalista Vittorio Sabbadin provava a disegnare un paesaggio prossimo venturo, orfano dei «quotidiani di carta». E citava a questo proposito i calcoli di uno studioso dell’editoria americana, Philip Meyer, secondo il quale l’ultima sgualcita copia del «New York Times» sarebbe stata venduta nel 2043. Ottimista! Sull’ultimo numero dell’«Atlantic», il columnist Michael Hirschorn sostiene che il grande quotidiano newyorchese potrebbe morire nel maggio di quest’anno - un fatto forse non probabile, ma di certo «plausibile» se si considera che i debiti del giornale superano il milione di dollari, e la cifra è pronta a lievitare se non si prenderanno prestissimo «misure drastiche». Ma al di là della provocazione, Hirschorn appare convinto che - mese più mese meno - il «New York Times» (seguito nel giro di poco tempo dai «giornali di carta» di tutto il mondo) sia destinato a chiudere molto più rapidamente di quanto non immaginasse Meyer. Sarà «la fine di una sorta di rito intellettuale che ha caratterizzato le nostre vite adulte» e al tempo stesso «metterà seriamente a repentaglio la capacità della stampa di fare da mastino della democrazia». Eppure Hirschorn sui tempi lunghi guarda al cambiamento con fiducia: scomparirà infatti il «fluff» che imbottisce di articoli inutili le pagine del «New York Times» e si inaugurerà «il prototipo del futuro giornalismo: una salutare dose di aggregazione, un’ampia gamma di collaboratori, un’offerta crescente di reportage originali».
Fanno viso fin troppo buono al cattivo gioco della crisi anche Robert McCrum sul «Guardian» e Boyd Tonkin sull’«Independent»: il primo consiglia di non comprare più costose novità e attingere ai tesori nascosti negli antri dei rivenditori di testi usati, e conclude l’articolo proclamando fieramente «Abbasso i libri nuovi, viva i vecchi!» (per la gioia sicura degli editori britannici), mentre il secondo ricorda i durissimi tempi di Margaret Thatcher, che tuttavia coincisero con una stagione particolarmente fortunata per la narrativa inglese, e pare sfregarsi le mani in attesa di un analogo miracolo.
Forse stimolato dalla creatività del «credit crunch», l’artista americano Phil Buehler, che ha al suo attivo un progetto intitolato «Modern Ruins», ha pubblicato a sue spese negli Usa il libro che Jack Torrance, protagonista di «Shining» di Stephen King, non portò a termine. Fedele a King e a Kubrick, di cui si proclama un fan, Buehler ha inserito nelle ottanta pagine del volume un’unica frase, il proverbio «All work and no play makes Jack a dull boy» (nella versione italiana, «Il mattino ha l’oro in bocca»), con cui Torrance aveva riempito fogli su fogli dattiloscritti. Sembra che il libro, in vendita su Blurb.com a otto dollari e 95 (22.95 per l’edizione con la copertina rigida), abbia venduto finora poche copie, ma anche Buehler si dichiara fiducioso. Segno che la crisi ha se non altro avuto come strano effetto collaterale una epidemica euforia.