Giancarlo Dotto, La stampa 11/1/2009, 11 gennaio 2009
NINO E IL CARDINALE
’O cardinale... Sta arrivanne ”o cardinale!». La notizia passa di bocca in bocca nel sottosuolo del «Trianon», fino al bunker di Nino D’Angelo, dove arriva che è un boato. Annamaria, la sua ombra devota da sempre, lo sta ripassando a colpi di spugna. Nino s’infila il montone e corre, così com’è, mezzo inceronato, dall’amico cardinale, Crescenzio Sepe. Lungo i corridoi è uno slalom tra questuanti, amici, fan, orchestrali, mascherine, sconosciuti, uno che gli ha portato un vassoio di sfogliatelle. Panico. Ha la blusa viola. «Fammi una grande cortesia amico mio, torna domani, t’accatto ”nu posto in prima fila». Nino bacia chiunque, a decine, una che si chiama Heidi, un neomelodico che dice di essere il nipote di Antoine, lo strambo che cantava a Sanremo «se sei buono ti tirano le pietre».
La creatura in braccio
Una chiattona gli schiaffa in braccio la creatura, in un tumulto di sospiri e tette. Nino li bacia entrambi, madre e figlio. «Ah, così voi siete la cognata di Dolores?». Bacia Ludovica, uno scricciolo di bimba, tre anni forse, attorno a due occhioni spalancati e tristi. Un anno fa, la notte di Capodanno, stava nelle braccia del padre, a tavola con gli amici. Due minuti dopo, una pallottola vagante, partita dal palazzo di fronte, lo colpisce dritta al cuore. Fulminato. Si chiamava Giuseppe Veropalumbo. «L’aveva appena messa giù la figlia... Un miracolo... Una creatura graziata». Vivi o morti. A Napoli è una lotteria anche questa. «Questa è una città che nun cagne maje, non cambia mai!...», urla selvaggio Nino. Scariche di adrenalina. «Ho preso questo teatro che faceva 65 abbonati, al terzo anno l’ho portato a 4 mila e 500, facendo passare l’idea che il diritto alla cultura è anche dei diseredati... Ma i giornali scrivono solo di quelli che ammazzano le povere donne e scippano i rolex».
E’ un pomeriggio speciale a Forcella. Quasi cinquecento tra anziani, poveri e sottoproletari, quelli dell’«hotel del cartone pressato», come li chiamano qui, sono già dentro, al caldo, stravaccati come pascià sulle poltroncine di velluto rosso del Trianon, altro che Caritas. Un’idea del cardinale e di Nino: regalare ai disagiati, categoria da sempre molto diffusa a Napoli, una replica dell’omaggio di Nino D’Angelo a Sergio Bruni, tutto esaurito da Natale. Siamo nelle viscere della città borbonica. I vicoli stretti, il selciato antico, gli stracci alle finestre, chiese, altari e Madonne ovunque, gli annunci funebri. A Napoli si muore, anzi si manca, più che in ogni altra città al mondo. E’ mancato Salvatore Visconti, di anni 53, detto Babbà. E’ mancata anche Ida Dorio, figlia «do palummaro». L’annuncio della sua morte sta incollata storto sopra il poster che presenta lo spettacolo del Nuovo Stabile del Teatro Comico. I tazebao del disagio. «Siamo stanchi delle promesse elettorali. Ridateci la dignità con il lavoro». Firmato Sottoproletari Indultati. I presepi. La statuina di Beckham che fa shopping a Betlemme. Il tribunale e, attorno, le case dei camorristi. Il balcone, proprio di fronte al Trianon, da cui si affacciava Luigi Giuliano, detto ”o rre, spietato boss, oggi collaboratore di giustizia. Di Forcella era anche uno dei due magliari che a Barcellona si spacciavano per i figli di Montezemolo, pura scuola Totò. Chiusa da anni la bottega del tipografo che, nel dopoguerra, distribuiva le sue cinquemila false come biglietto di visita, a garanzia del suo talento.
Nino corre e bacia. Ora bacia anche il cardinale. Che si distingue per la calottina rosso porpora nella tempesta dei flash e nel putiferio dei clacson, davanti all’entrata del teatro, ribattezzato «Teatro del popolo» da Nino. «Forza Napoli!» strilla uno. «Come stai?». Si danno del tu, Nino e il cardinale, dal giorno in cui hanno pranzato insieme all’Arcidiocesi. Simpatia a prima vista. «Cardina’ non mi trovo con il voi... Perché non mi date del tu?». E lui: «Allora pure voi datemi del tu... In fondo, nasco scugnizzo anch’io come a voi...».
Amico di Bassolino
Nino, il cardinale e Lavezzi, l’orgoglio di Napoli, oggi che la politica è più che mai in disgrazia, Rosettina l’usignolo, come lo chiamano qui il sindaco, annaspa, per non dire di Bassolino, scaricato anche da D’Alema. «Ma non da me. Io resto suo amico e lo sarò sempre, soprattutto adesso che sta in difficoltà...». Nino non sta nella pelle. Il contatto fisico con il cardinale lo esalta. «Non sapere aumenta il potere di chi sa... Nu guaglione ha da sapere chi è Sergio Bruni o Roberto Murolo», proclama a favore delle telecamere, non mollando la presa dell’abito talare. «Scrivetelo, che a Forcella, oltre che ad ammazzare le persone, accadono anche queste piccole cose grandiose... Fate vedere ”Gomorra” in tutto il mondo, ma fate vedere anche questo, che la gente a Forcella va a teatro, nel quartiere simbolo della malavita, a due metri dalla casa di Giuliano».
Ne ha fatta di strada e ne ha dati di baci lo scugnizzo di Casoria. Da quando era, caschetto biondo e molto coatto, la reliquia semiclandestina dei bassifondi napoletani. All’apice, ma forse no, del suo ciclo di mutazioni («Il mio sogno è diventare un domani il Gaber dei napoletani»), superati i cinquanta, ha scelto l’omaggio a quanto più lontano da lui, Sergio Bruni, un classico di nicchia. Impensabile, quando era la voce sentimental-kitsch di «Nu jeans e ”na maglietta». Da allora, tutta una scoperta, che gli intellettuali lo amano, che fare l’attore gli piace, ascolta Peter Gabriel, studia Carlo Cecchi e Raffaele Viviani, stringe amicizia con Abel Ferrara, passando per il David di Donatello, dopo la fuga da Napoli e dalla camorra, più di vent’anni fa. Nino corre, bacia e cambia, ma resta uguale a se stesso, pelle che cambia sulla stessa pelle, come la sua città. Nino scappa e torna, ogni volta ritorna nella cruna del caos che l’ha generato.
Nino sta per andare in scena. Riguarda per la millesima volta le foto. Il Trianon è la storia di Napoli. Viviani, i De Filippo, Totò, Merola. Quando era il tempio della sceneggiata, prima di diventare un cinema a luci rosse e poi altro ancora. «L’ho preso che era un giocattolo borghese, un corpo estraneo dentro Forcella... Facevano il teatro popolare senza il popolo. A giugno finisco il mio mandato. Difficile che resto, forse non resta nemmeno il Trianon, problema di fondi pubblici. Costa troppo la cultura...». Smanetta rapido l’iPhone che gli hanno regalato a Natale. Sorseggia un calice di vino bianco. «Solo un goccino che mi fa sciogliere le corde vocali... Più che altro un rito scaramantico che mi fa entrare da dominatore in scena. L’artista deve comandare il mondo quando sta sul palco...». Improvviso e lancinante il dubbio: «Ma il posto al cardinale l’avevate lasciato?».
Gli straccioni in delirio
E’ il momento. Ultimo annuncio. Buio in sala. Gli straccioni di Napoli lo chiamano dalla platea. «La canzone napoletana è finita. Oggi la cantano solo i Bocelli e i Renzo Arbore. Non c’è più quello che fa di mestiere il cantante napoletano. Pino Daniele, Gigi D’Alessio, Massimo Ranieri sono cantanti di Napoli, non cantanti napoletani... Ecco perché io oggi, qua, stasera, mi sento il responsabile della canzone napoletana... Sergio Bruni a me m’ha trattato come una chiavica, ma non m’importa, io sento il dovere di celebrare il più grande artista di sempre...». Nino va, canta, evoca, racconta. Tutto Bruni arrangiato alla Bregovic. L’apoteosi è «Carmela». «La preferita di Maradona. Diego impazziva per Sergio Bruni. Cantava Carmela davanti agli amici e poi mi chiedeva: come sono andato? Giochi un po’ meglio a calcio, gli dicevo».
Un trionfo. Mai stati così a loro agio i disagiati, tra Nino sul palco e il cardinale in platea. «Ti giuro sull’anima di mia madre, mi sento male al pensiero... Siamo tutti degli sbandati oggi. Non so più cosa raccontare alla mia gente. Siamo stati abbandonati... Io che ho sempre avuto due culti, la famiglia e il voto a sinistra. Da quando nonno Gennaro mi spiegava che Lauro ci regalava la pasta per sfotterci la vita». Gran finale. Nino chiama il cardinale sul palco: «Vi presento uno più scugnizzo di me. Grazie eminenza, questa sera mi hai fatto sentire utile, il più bel regalo che mi potevi fare...».