Paola Pica, Il corriere della sera 11/1/2009, 11 gennaio 2009
TROPPI INTRECCI NELLA GRANDE FINANZA
Investire in «reputazione ». questa l’indicazione che dal Garante per la Concorrenza arriva al sistema finanziario italiano. Un mercato che vive su pochi grandi gruppi in mano a «pochi soggetti » spesso legati da patti parasociali e caratterizzati da intrecci azionari e personali tra concorrenti «senza paragoni in Europa».
In un’indagine conoscitiva sulla governance di banche, assicurazioni e società di gestione – un dossier di 219 pagine realizzato in un anno di lavoro della direzione credito in stretta collaborazione con la Consob – l’Autorità presieduta da Antonio Catricalà sollecita un’adeguata rivisitazione dei meccanismi di governo, spinge per la riforma delle popolari e pur tra qualche distinguo assolve le Fondazioni sul cui mondo, per la prima volta, viene fornita un’ampia istantanea.
necessario «rivedere la governance per aumentare la trasparenza e recuperare la fiducia necessaria a superare la crisi», scrive l’Antitrust sollecitando una riflessione sui «rischi impliciti» che il fenomeno degli intrecci può produrre. «Se da un lato le nostre peculiarità si rivelano un elemento di stabilità nella crisi, questo non giustifica una visione statica permanente», osserva il direttore generale dell’Authority, Giovanni Calabrò. L’Antitrust dice sì al bond statale per le banche come «misura necessaria nell’immediato », ma sottolinea l’opportunità di «guardare "oltre"», nel rispetto dei ruoli delle autorità preposte alla vigilanza. «Occorrono interventi regolatori e autoregolatori », si legge ancora. Il recupero della individual reputation
appare infatti «un investimento » che gli stessi operatori dovrebbero perseguire come una «priorità». Le difficoltà di oggi, viene ricordato, nascono proprio «dalla crisi di reputazione e quindi solo il recupero di quest’ultima può garantire anche a livello collettivo una nuova fase di stabilità».
L’80% dei gruppi esaminati presenta nei propri organismi soggetti con incarichi in società concorrenti: la multi- poltrona è praticata da un numero anche elevato di consiglieri, fino a 16, come nel caso del gruppo Generali. Nel Leone l’incidenza dei soggetti con più incarichi è del 14,2%. Il tasso più alto viene registrato in Reale Mutua (55,6%, 10 consiglieri su 18) seguita da Mediobanca (51,9%, 14 su 27). In Unicredit il tasso è del 14,6% (13 su 89), in Intesa Sanpaolo del 20,3% (14 su 69). Le due prime banche italiane sono anche quelle con un azionariato più diffuso anche se non assimilabile a quello delle pure public company, mentre nella comparazione tra i modelli di governance adottati, tradizionale e dualistico, uno non emerge come
first best rispetto all’altro. L’indagine si sofferma su Mediobanca, un caso già analizzato con la fusione Unicredit- Capitalia, che presenta «assetti di controllo peculiari per la presenza di un patto di sindacato complesso» oltre a «cumuli di incarichi in soggetti concorrenti». Nel rapporto emerge a più riprese anche la «questione Zaleski» (che però l’Antitrust non cita mai per nome) con la necessità di più chiarezza sui rapporti soggetti finanziati-azionisti delle banche. Ma quello delle partecipate da competitor resta uno dei fenomeni più estesi (il 19% del campione) in ambito bancario. I possibili rimedi vanno «ponderati attentamente » sostiene l’Antitrust, poiché prevedere divieti potrebbe essere di ostacolo alla concorrenza. E tuttavia «le imprese potrebbero far molto per ridurre il fenomeno ». Lo stesso Catricalà ha detto in serata al Tg1 che «alcune banche e assicurazioni hanno già agito, ci sono buoni esempi. Ma se non ci sarà l’autoregolamentazione, bisognerà intervenire con qualche strumento» normativo o regolatorio. Uno dei suggerimenti è «l’ampliamento delle comunicazioni delle partecipazioni rilevanti alla Consob sotto la soglia del 2%».
L’Antitrust riconosce poi alle Fondazioni (presenti in 26 banche su 83) un ruolo «rilevante quale investitore stabile » con una «capacità di apporto di una liquidità spesso carente». Anche qui però viene evidenziata «l’esigenza di una maggiore trasparenza» e indicata una prospettiva «da vero investitore istituzionale ». Non mancano i casi dove le Fondazioni sono azionisti comuni di soggetti concorrenti mentre quasi sempre, anche quando sono in minoranza, gli Enti si rivelano soci con funzioni strategiche, nomine in primis. L’indagine chiude con un capitolo dedicato alle banche cooperative. Le popolari quotate, osserva l’Authority, «appaiono ormai sempre più assimilabili a spa» e dunque «occorre introdurre le più volte ventilate modifiche normative».