Giovanni Pons, la Repubblica 11/1/2009, 11 gennaio 2009
CON IL CAPITALISMO DELLE BARONIE NON USCIREMO DALLA CRISI GLOBALE
« il trionfo del capitalismo delle baronìe. C´è un gruppo di persone inamovibile che estende e cerca di consolidare il proprio potere a tutta l´economia e che si identifica in un sistema chiuso in sé stesso ma molto fragile». Il professor Guido Rossi, come abitudine, non lesina espressioni forti per commentare i risultati dell´ultimo rapporto dell´Antitrust. Un lavoro che definisce "coraggioso", nel silenzio assordante della Consob e della Banca d´Italia, perchè denuncia i mali di un sistema, quello italiano, che a ben vedere è molto più debole di come lo si vuole descrivere.
Professor Rossi come giudica l´indagine conoscitiva dell´Antitrust sulla corporate governance di banche e assicurazioni?
«Quella condotta da Catricalà e dal suo team è un´indagine straordinaria che mette a nudo la vera natura del sistema bancocentrico. una denuncia e allo stesso tempo un grido d´allarme: se non si pone rimedio in fretta ai mali del capitalismo non si uscirà dalla crisi strutturale che attanaglia tutto il mondo».
la prima volta che l´Antitrust si occupa di banche dal punto di vista concorrenziale, una novità consentita dalla legge sul risparmio del 2005. un passo avanti?
«Sicuramente. Quando varammo la legge antitrust nel lontano 1990 sotto le pressioni di Guido Carli si considerò la neonata autorità troppo giovane per un compito di questo tipo. Si è posto rimedio nel 2005 e oggi si può dire che l´authority guidata da Catricalà è l´unica che può fare un´analisi oggettiva sul sistema bancario e assicurativo. La Consob e la Banca d´Italia latitano».
Catricalà batte su temi a lei cari e ai quali ha dedicato una trilogia di libri. Ma davvero si può risolvere tutto eliminando i conflitti di interesse nelle società per azioni?
«L´Antitrust insiste per la prima volta sui punti che hanno determinato il crollo dell´intera struttura capitalistica. La governance che deve evitare i conflitti di interesse e la trasparenza che aiuta a ripristinare la fiducia verso l´esterno. Il terzo punto importante è la reputazione individuale, questa volta all´interno delle società».
I legami azionari incrociati, i patti di sindacato, le interlocking directorates, cioè le stesse persone in consigli di amministrazione concorrenti. Con queste peculiarità che sistema si produce?
«Si sviluppa un sistema capitalistico bancocentrico, cioè con un eccesso di concentrazione, non trasparente e non contendibile, con legami tra i concorrenti e quindi non in grado di attrarre investitori istituzionali».
Le banche sono poi presenti in qualità di azionisti in molte altre realtà industriali. Estendono il loro potere, e i loro mali, altrove?
«Certo, basta far cadere lo sguardo sui patti di sindacato Rcs Mediagroup o sulla Telecom per capire che il dominio delle banche si estende ai gangli vitali dell´economia italiana. E, con parole ancora più esplicite, grazie all´interlocking directorates, c´è un gruppo di persone che estende il suo potere a tutta l´economia».
Nell´ultimo decreto anti-crisi varato dal governo, su sollecitazione Consob, c´erano norme che modificano la legge sull´Opa in senso restrittivo. Si sta andando nella direzione giusta?
«Assolutamente no. L´Italia aveva una delle migliori leggi sull´Opa, adesso ha abolito la passivity rule e neutralizzato le misure che facevano saltare i meccanismi anti-Opa. Ora le società non sono più scalabili e il sistema è più chiuso, più blindato».
Anche la definizione di consigliere indipendente, definita dal Codice di Autodisciplina, è troppo blanda secondo l´Antitrust. d´accordo?
«La definizione di financial gigolo per i consiglieri indipendenti è quella che li descrive meglio nella realtà delle società italiane».
Ma qualcuno dice che un sistema più chiuso è premiante in questa fase nella quale si stanno propagando i virus della globalizzazione. Non è così?
«Se chiudi il sistema diventi autoreferenziale e sempre più fragile. In un sistema chiuso se cade un pezzo cadono tutti gli altri. Non a caso Catricalà parla di un pericoloso effetto domino. Tutto si lega e tutto si tiene e non si lascia fallire nessuno. Ma un sistema concorrenziale deve far fallire le imprese».
Facciamo un caso di scuola: se malauguratamente Unicredit andasse in default rischierebbero anche Mediobanca e Generali vista la catena di partecipazioni, fino ad arrivare a Intesa Sanpaolo?
«Sì, ma Unicredit che è la banca più internazionale e più orientata al mercato ha potuto lanciare un aumento di capitale che la sta portando in zona sicurezza. Non sono sicuro che altri potrebbero fare lo stesso».
L´aumento Unicredit, però, non verrà sottoscritto dal mercato ma dai soci forti, cioè le Fondazioni più Mediobanca e Generali. di nuovo il sistema che si chiude su sé stesso.
«Catricalà verso le Fondazioni ha un giudizio a due facce. Da una parte riconosce che sono gli unici soggetti a svolgere un ruolo di investitori istituzionali di lungo periodo, in assenza dei fondi pensione. Dall´altra dice che dovrebbero agire in maniera più trasparente. Lo condivido e dico che le Fondazioni hanno fatto bene a sostenere Unicredit».
Il ministro Tremonti ha annunciato aiuti alle banche ma finora non ha sborsato un euro. Sta agendo bene secondo lei?
«Tremonti ha capito una cosa molto importante: che l´Italia non può aumentare il debito pubblico perché metterebbe a rischio la tenuta del paese e la sua permanenza nell´euro. Mi pare in linea con la grande tesi keynesiana di agire sulla domanda e sulla produzione e non sulla liquidità».
Come si fa a uscire dal tunnel?
«La Fenice sta morendo e deve nascerne una nuova. Dobbiamo rivedere le strutture poiché i tamponamenti senza cambiamenti non servono a niente. Bisogna cominciare a ristrutturare il sistema per far sì che non sia più un capitalismo delle baronìe».
E a livello internazionale come bisogna agire?
«Occorre un´autorità sovranazionale in grado di vigilare sui mercati e sulla liquidità degli operatori. Keynes ai suoi tempi aveva già intuito la necessità di un´autorità superiore. La speculazione sul petrolio avveniva attraverso le sale operative di Londra, ci vuole qualcuno in grado di individuarla e fermarla».
Ma l´iniziativa da chi deve partire?
«Ovviamente dalla politica, bisogna far tacere gli economisti che finora hanno prodotto più danni che altro».
Barack Obama sta andando nella direzione giusta con il preannunciato mega piano di intervento da 770 miliardi di dollari?
«Sì perché vuole agire sulla domanda aggregata, con sgravi fiscali alla classe media e forte impulso ai lavori pubblici. Ma gli americani devono stare attenti all´esplosione dei conti pubblici. Tra paino Paulson e piano Obama siamo a 1.500 miliardi di dollari di intervento, chi li paga?»