Maria Pia Fusco, la Repubblica 12/1/2009, 12 gennaio 2009
Ci sono venti dei film più importanti di Ettore Scola nella retrospettiva che gli dedica "Per il cinema italiano", il festival che Felice Laudadio ha organizzato a Bari con il sostegno delle istituzioni pugliesi e che nel corso dell´anno sarà presentato a Pechino
Ci sono venti dei film più importanti di Ettore Scola nella retrospettiva che gli dedica "Per il cinema italiano", il festival che Felice Laudadio ha organizzato a Bari con il sostegno delle istituzioni pugliesi e che nel corso dell´anno sarà presentato a Pechino. «Non sono mai felice quando c´è una rassegna. Faccio fatica a rivederli, ne vedo tutti i limiti, qualche dettaglio fuori posto, le ripetizioni. Per esempio la sequenza di qualcuno un po´ vigliacco che assiste all´aggressione di un amico ed esita a lungo prima di intervenire c´è in tanti miei film, l´ho scritta per Il sorpasso, è in La marcia su Roma, C´eravamo tanti amati, Mario, Maria e Mario. come se in tutta la carriera avessi fatto un solo film, un po´ lungo», dice Scola. Una giornata particolare, è definito da molti un film perfetto. d´accordo? «Ne preferisco altri. Allora, alla fine degli anni ´70, era facile fare un film sul fascismo, il fascismo non c´era, nessuno diceva di essere fascista. Era più difficile toccare temi allora attuali, per questo preferisco Trevico-Torino o La terrazza». Perché si dice che il cinema della sua generazione era più bello di quello di oggi? «Noi avevamo modelli importanti, io ho cominciato facendo il "negro", scrivevo per altri senza apparire, ma anche scrivendo sketch per Tino Scotti. I miei modelli erano Fellini, Amidei, Zavattini. E avevamo la spinta della politica, ci dava strumenti che non avremmo trovato dentro di noi. Questa spinta è finita, non ho rimpianti per le ideologie, ma non sono stato sostituite da altri valori». Fare cinema oggi è più difficile? «Fare buon cinema è più difficile. Per questo quando arrivano film come Gomorra o Il divo è giusto gridare al miracolo, perché i giovani non hanno niente alle spalle, non grandi modelli né motivazione politica». C´è anche chi accusa Gomorra di rappresentare il brutto dell´Italia. «Il brutto? Basta passare una serata davanti alla tv, allora sì che c´è da vergognarsi. Non possiamo prendercela con le veline, con i tronisti, con chi piange o cerca di vincere qualche euro, il problema è l´affermazione di un progetto culturale. La filosofia berlusconiana c´è, domina in tv, nella scuola, nell´informazione, nei rapporti tra le persone». Non pensa che ci siano responsabilità anche dall´altra parte? «Certo che la sinistra ha le sue colpe, non ci siamo opposti, non abbiamo proposto, non abbiamo offerto altri modelli. C´è stato un momento di speranza con le primarie e con Veltroni, ma da noi c´è la sindrome dello scorpione, che accetta di essere traghettato ma arrivato dall´altra parte del fiume non resiste e usa il pungiglione. Ma io voglio vedere i segnali positivi». Sono cinque anni che lei non fa più cinema: perché? «Avevo partecipato ai film collettivi sul G8 a Genova e sulla Palestina, sono quelli che mi hanno fatto smettere. Scrivere una storia privata, con un inizio, uno sviluppo e una fine, mi sembra inadeguato, non ho ispirazione. Preferisco godermi la vecchiaia». In che modo? «Leggo, scribacchio, pensicchio, tutto con il diminutivo. Leggo classici, ci sono più cose su di noi in Plutarco che nei media. Con la vecchiaia si ha una percezione diversa del tempo, cerco di capire il senso della crescita dei nipoti, la lettura diventa il centro della giornata. La vecchiaia è bella, la consiglio a tutti. Se mi viene un´idea non ha a che fare col cinema, penso che in Palestina, anche in Italia, il cinema è uno strumento che non serve. Ci sono film capaci di comunicare, ma il regista è un lavoro totalizzante, ti limita, ti chiude per mesi fuori dalla realtà. Io voglio starci dentro».