Mario Pirani, la Repubblica 12/1/2009, 12 gennaio 2009
«Ma ci fanno o ci sono?», mi sono chiesto ascoltando a "Porta a porta" del 7 gennaio le spiegazioni difensive di due parlamentari di opposta sponda, Italo Bocchino, vice presidente del gruppo Pdl e Renzo Lusetti del Pd, entrambi indagati per i loro rapporti con l´imprenditore campano, Alfredo Romeo, attualmente in carcere
«Ma ci fanno o ci sono?», mi sono chiesto ascoltando a "Porta a porta" del 7 gennaio le spiegazioni difensive di due parlamentari di opposta sponda, Italo Bocchino, vice presidente del gruppo Pdl e Renzo Lusetti del Pd, entrambi indagati per i loro rapporti con l´imprenditore campano, Alfredo Romeo, attualmente in carcere. Il tutto inframmezzato da brani di intercettazioni delle telefonate da loro scambiate con l´imprenditore medesimo. Quel che mi ha colpito, facendomi propendere per l´ipotesi che quei due «ci sono», più che «ci fanno», è l´assoluta noncuranza con cui commentavano i loro colloqui con Romeo, quasi si fosse trattato di previsioni meteorologiche o anche di scambi generici di opinioni politiche. Ma non di questo tipo erano i dialoghi. Al centro vi era, ad esempio, una minuziosa diatriba su un appalto di 400 milioni di euro per la manutenzione delle strade di Napoli, in bilico tra il Global Service del Romeo e un gruppo di costruttori, a seconda fosse stato incardinato sotto la voce di prestazione di servizio oppure di riparazione edile. Ebbene, era tutto un tira e molla tra il padrone del Global Service che esigeva garanzie d´esito sicuro e il parlamentare che assicurava: «Stai tranquillo, tranquillissimo perché domani sera c´è una riunione con tutti a cui viene spiegato qual è la tesi da sostenere. «Che c´è di male in tutto ciò?», si chiedevano, su questo ed altro, Bocchino e Lusetti, mentre una convinzione di innocenza trapelava dalle loro parole e così dai commenti dei loro colleghi in trasversale formazione (Gasparri, Castelli, Brutti, Margiotta). L´unico, presto tacitato, a parlare fuori del coro, era Buttiglione, il quale coraggiosamente sparava contro tutta una classe dirigente che con lo spoil system si è spartita anche le funzioni di gestione proprie della Pubblica amministrazione. Infatti nelle conversazioni intercettate non si parlava di politica ma di appalti, un tema ben lontano dal mandato parlamentare e rientra nell´autonomia tecnica e amministrativa dei funzionari dello Stato. Non mi è sembrato un caso che il solo ad esprimere una simile denuncia fosse un uomo della Prima Repubblica, memore dei suoi guasti finali ma non dimentico delle qualità specifiche dell´agire pubblico che la parte migliore di quella classe politica seppe esprimere negli anni della ricostruzione democratica ed economica del Paese. Per concludere, non posso certo dire che la trasmissione abbia anticipato la risposta, ancora sub judice, circa la colpevolezza penale degli inquisiti. Per contro mi è apparso inequivocabile l´inquinamento etico in cui respira, opera, parla un ceto partitico che ha smarrito ogni senso del limite, della differenza di compiti, dell´autonomia funzionale che dovrebbe sovrintendere ogni comportamento dei rappresentanti del popolo. In una simile atmosfera non c´è bisogno di larghe intese o di reciproci gesti di riconoscimento per conseguire obbiettivi fruttuosi per entrambi. Si può dire davvero che letteralmente parlano come mangiano, anche se la fedina penale è intonsa. Eppure questa "innocenza" si è tradotta in un modo di essere e di fare che accompagna come una volgare musica di fondo lo sfascio della Repubblica. Dopo il mio ultimo articolo («Se la sinistra è partitocratica», Repubblica del 6 us), in cui analizzavo, appunto, questo stato di cose, numerose e-mail mi hanno confortato sull´utilità della denuncia giornalistica. Tra le tante, una, quella del sig. Giovanni La Torre di Roma, contiene un invito che merita di essere raccolto. Almeno nei limiti del possibile. Il nostro lettore suggerisce, infatti, quando si parla di questione morale, di ripubblicare e divulgare la classifica che l´autorevole agenzia "Trasparency International" aggiorna ogni anno per fornire, soprattutto agli operatori economici, un "Barometro sulla percezione della corruzione nel mondo". «Ebbene in tale classifica - ci scrive La Torre - il nostro povero paese è sprofondato al 55° posto con il voto largamente insufficiente di 4,8 (in un ventaglio da 1 a 10, ndr). L´eccesso di corruzione, tra l´altro, è fra le cause del declino italiano in quanto, incrociato col dato sulla trasparenza, è uno dei parametri che le società di rating internazionali prendono in considerazione per misurare il rischio-paese». Non ho lo spazio per la classifica. Posso solo ricordare che dopo i primi tre (Danimarca, Svezia, Nuova Zelanda) seguono una trentina di paesi tra cui tutti quelli occidentali dell´Ue, gli Usa e il Giappone, con voti positivi da 9,3 a 6,5. Noi siamo dopo le Seychelles e prima della Grecia. L´anno prossimo andrà peggio?