Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  gennaio 12 Lunedì calendario

dal nostro corrispondente GERUSALEMME - «La fine dell´operazione Piombo fuso potrebbe essere vicina», dice il viceministro della Difesa Matan Vilnai

dal nostro corrispondente GERUSALEMME - «La fine dell´operazione Piombo fuso potrebbe essere vicina», dice il viceministro della Difesa Matan Vilnai. Ma dalla periferia di Gaza City arrivano notizie di nuovi scontri, nei quali i miliziani del movimento islamico sembrano avere la peggio. Dieci uccisi in una sola battaglia. Il gruppo dirigente braccato, disperso e costretto a rifugiarsi nei nascondigli più impensati. E soprattutto quel senso di estenuazione verso la guerra che sembra aver preso i palestinesi, anche quelli della West Bank, e che potrebbe ritorcersi contro Hamas. Ancorché fortemente indebolita dai colpi subiti in due settimane di feroci bombardamenti, la macchina militare di Hamas continua, comunque, a funzionare, se è vero che i missili kassam e grad continuano a piovere sulle città del Negev, sebbene ad un ritmo e con intensità assai inferiore dei giorni precedenti. Ma questo non preoccupa gli strateghi militari israeliani che fiutano aria di vittoria e premono sui dirigenti politici per andare avanti. Una richiesta esplicita di espandere l´operazione l´ha rivolta ieri il Comandante della Regione Sud, il maggiore generale Yoav Galant, direttamente al premier Olmert e al ministro della Difesa, Barak, in visita al comando meridionale. L´operazione in corso, ha detto in sostanza Galant, ha creato «la possibilità, che si presenta una volta sola in una generazione, di risolvere il problema di Hamas». Naturalmente, alla maniera dei militari. Decapitando il vertice, smantellando le infrastrutture del movimento, polverizzando la sua famosa rete politico - assistenziale. Mentre, porre termine adesso all´operazione, significherebbe sì, guadagnare qualche mese di «calma» nelle province al confine con Gaza, ma dopo un po´ gli uomini di Hamas o di qualche altra milizia associata tornerebbero a lanciare i loro missili sulle città del Negev. E le forze armate israeliane sarebbero nuovamente costrette ad intervenire. Difficile dire quale impatto abbiano avuto le ottimistiche valutazioni del generale sui due uomini politici. Formalmente, ieri, il Consiglio dei ministri, non ha dato il via libera alla terza fase dell´operazione, che implicherebbe l´immissione sul terreno di decine di migliaia di riservisti, già addestrati ed in attesa dell´ordine di muovere, per penetrare ben addentro ai grandi centri abitati, a partire dalla città di Gaza, e di fatto occupare parti della Striscia per un periodo indeterminato. Ma, stando alle cose dette da Olmert nella riunione di governo, l´impressione è che l´operazione, andrà avanti ancora per qualche giorno fino a quando Israele non potrà più sottrarsi alla pressione internazionale affinché applichi, per la sua parte, la risoluzione dell´Onu che chiede l´immediato cessate il fuoco. «L´esercito è sempre più vicino a raggiungere gli obbiettivi prefissati», ha detto Olmert, invitando gli israeliani ad avere ancora un po´ di pazienza. In serata è trapelata la notizia che le prime unità della riserva erano entrate in zona d´operazione. Non potendo vantare successi sul terreno (e senza ammettere l´entità delle perdite subite finora) al leader di Hamas, Khaled Mashal, non resta che rispondere con la solita retorica di segno opposto. «Israele non ha raggiunto un bel niente». Ma poi, segno evidente di grandi difficoltà, non ha saputo indicare ai palestinesi che una prospettiva di ulteriore dolore e sacrificio. «Hamas - ha detto - non firmerà nessuna tregua se prima non cessa l´aggressione, gli israeliani non si ritirano e i valichi non vengono aperti». Così, le due realtà attraversate dalla linea del fronte si allontanano sempre di più l´una dall´altra. Visto il forte calo registrato nel numero di missili lanciati dalla Striscia di Gaza, nelle città del Negev gli alunni delle superiori sono tornati a scuola. «Non ancora un ripristino della normalità - ha detto onestamente la ministra dell´Istruzione Yuli Tamr - ma l´inizio della normalità». Dall´altro lato del confine, invece, l´esercito israeliano ha continuato a condurre le sue (decine) di incursioni quotidiane. Il che significa non solo altri miliziani islamici colpiti, ma anche altri morti e feriti tra i civili (complessivamente, il bilancio, a ieri mattina, era di 869 morti e 3695 feriti), altre migliaia di persone (ormai oltre ventimila) in cerca di un rifugio, in una società che per quasi la metà è composta da rifugiati di terza generazione. In pratica, stando all´ultimo rapporto del Coordinamento per le attività umanitarie delle Nazioni Unite (Ocha) un milione di persone è senza elettricità, 700 mila senza acqua corrente. Altrettante, per mangiare qualcosa di caldo, possono fare affidamento soltanto sulla carta impregnata di pece o sul carbone, quando si trova. E quanto ai beni di prima necessità che la risoluzione dell´Onu vorrebbe distribuiti senza esitazione e senza impedimenti, di fatto si tratta soltanto di farina e medicine. Nessuno, soprattutto in questa situazione, oserà alzare la voce contro Hamas, ma basta vedere come si sia drammaticamente attenuata la protesta dei palestinesi della West Bank, in solidarietà coi fratelli di Gaza, per sentire serpeggiare la stanchezza.