Virginio Rognoni, Corriere della Sera 12/1/2009, 12 gennaio 2009
Caro Direttore, spero che la proposta di una diversa composizione del Csm (un terzo dei suoi consiglieri composto da magistrati eletti, un terzo da «laici» nominati dal Parlamento, un terzo designato dal Presidente della Repubblica) non sia avanzata per «punire» la magistratura («meno togati al Csm», si dice e, qualche volta, si grida) ma sia fatta, piuttosto, per rompere il meccanismo perverso delle «correnti», quel puntiglioso correntismo che, presente nella Associazione Nazionale dei Magistrati, bacino prevalente dell’elettorato attivo, si riproduce inevitabilmente nell’organo eletto, cioè il Consiglio
Caro Direttore, spero che la proposta di una diversa composizione del Csm (un terzo dei suoi consiglieri composto da magistrati eletti, un terzo da «laici» nominati dal Parlamento, un terzo designato dal Presidente della Repubblica) non sia avanzata per «punire» la magistratura («meno togati al Csm», si dice e, qualche volta, si grida) ma sia fatta, piuttosto, per rompere il meccanismo perverso delle «correnti», quel puntiglioso correntismo che, presente nella Associazione Nazionale dei Magistrati, bacino prevalente dell’elettorato attivo, si riproduce inevitabilmente nell’organo eletto, cioè il Consiglio. questo certamente un obiettivo importante, che deve essere perseguito in tutti i modi. Il sistema delle logiche correntizie reca danno al Csm. La nomina di un magistrato presidente di Tribunale o di Corte d’Appello che prevalga su altri, forse o senz’altro più meritevoli, solo perché appartenente alla corrente più forte non è accettabile; fa perdere credibilità e autorevolezza al sistema giudiziario, rischia di mettere in discussione il principio sacrosanto dell’autogoverno della magistratura, provoca lentezze nelle procedure di nomina, appesantite da mediazioni interminabili. «Alla larga da questa deriva», mi è capitato di dire molte volte come monito ai colleghi del Csm; e lo ripeto anche oggi, non certo come monito, non avendo alcun titolo per farlo, ma come riflessione di esperienza, mi auguro, non inutile al dibattito in corso. Le varie voci che si sono levate in questi giorni, anche all’interno della stessa magistratura, sono tutte d’accordo nell’auspicio che si volti pagina, che le varie differenti correnti di pensiero, che legittimamente si manifestano nel dibattito culturale tra magistrati e nella loro Associazione, non diventino centri di potere in Consiglio, veicoli di puntigliosa protezione dei propri affiliati e delle loro carriere. Si tratta di un grosso inconveniente che – dobbiamo pur dirlo – è solo mitigato, qui e ora, dal grado non mediocre della preparazione e dell’attrezzatura tecnica della generalità dei magistrati (ma coloro che sono fuori dall’associazionismo militante, «senza angeli in paradiso», corrono sempre il rischio di essere ingiustamente dimenticati). Per porvi rimedio ecco che viene avanzata la proposta, sopra richiamata, di una composizione del Csm diversa rispetto all’attuale: una drastica riduzione del numero dei consiglieri togati, eletti dal corpo della magistratura e, però, togati che vanno al Consiglio a seguito di un’aspra campagna elettorale che, in altra forma, finisce per continuare proprio nelle aule del Consiglio. possibile che questa proposta (mi limito a considerarne soltanto un aspetto), in relazione alla finalità che vuole raggiungere, possa avere qualche efficacia; ma ne dubito. Già oggi nessuna corrente, anche la più forte, può imporre all’altra o alle altre ad essa contrapposte, qualsiasi nomina a un ufficio giudiziario senza avere il voto aggiuntivo quanto meno di una parte della componente laica. «Oggi i Consiglieri designati dal Parlamento vengono spesso cercati come alleati da questa o quella corrente contro altri togati»; così Barbera, e ha ragione. vero, infatti, che c’è questa richiesta o interessata offerta di soccorso, ma quando esse sono costanti e costante è il soccorso allora viene fuori una sorta di collateralismo di tipo ideologico della componente laica, meglio di una parte di essa, a sua volta contro l’altra. E così il sistema nefasto delle logiche correntizie non è affatto rimosso, anzi vi è coinvolta anche la parte laica, qualunque sia la sua consistenza numerica. Essa, anziché sottrarsi, sta al gioco, per una sorta di pregiudiziale consenso che è, poi, una pregiudiziale di tipo «politico». Insomma, io non sono convinto che le logiche correntizie possano sparire, come per incanto, a seguito di misure tecniche capaci di impedirle. Barbera e altri ritengono che un nuovo sistema elettorale del Csm, basato su collegi uninominali e introdotto con legge ordinaria, riesca a scardinare il potere delle correnti magistratuali. Me lo auguro, ma non ne sono persuaso. Del resto, qual è lo scenario opposto a quello segnato dal gioco delle correnti con riferimento alle nomine nei vari uffici giudiziari? lo scenario del «buon governo», del «buon governo» della magistratura, dove non esistono gruppi e i consiglieri, uti singuli, concorrono alle nomine con assoluta libertà di giudizio, dopo attenta valutazione del merito e dell’idoneità di ogni concorrente, in relazione all’ufficio che si deve coprire. questo un obiettivo impossibile da raggiungere? certo un obiettivo che non si raggiunge con il bagaglio tecnico del legislatore, che non può rendere virtuosi comportamenti che non lo sono. Può essere raggiunto solo percorrendo fino in fondo – togati e laici – la via del recupero di moralità civile, di onestà e coscienza professionale, di libertà da interessi di parte e da condizionamenti servili, di forte sentimento del bene comune. Un percorso difficile ma non impossibile, soprattutto oggi, quando, avvertendo tutti il pericolo di toccare il fondo, a tutti vien fatto di pensare per davvero di risalire la china. Sono, queste, riflessioni fuori dal coro? Può darsi; rimane la considerazione, «tecnica», che forse è inutile «scomodare» un processo di legislazione costituzionale (diversa composizione del Csm) che potrebbe non portare al risultato che si vuole raggiungere. ex Vicepresidente del Csm