Maurizio Molinari, La Stampa 10/1/2009, 10 gennaio 2009
L’entità dello stimolo economico conta poco se la sua struttura è sbagliata». Il premio Nobel dell’economia John Stiglitz, democratico doc, non lesina critiche alle prime mosse di Barack Obama sul fronte dell’economia
L’entità dello stimolo economico conta poco se la sua struttura è sbagliata». Il premio Nobel dell’economia John Stiglitz, democratico doc, non lesina critiche alle prime mosse di Barack Obama sul fronte dell’economia. Perché non la convince la struttura del pacchetto di stimolo disegnata da Obama? «Per il semplice motivo che destina il 40% del totale ai tagli fiscali. A mio avviso è un grave errore». Dov’è l’errore? «Nel voler dare tanta importanza ai tagli fiscali per assicurarsi il sostegno dei repubblicani al Congresso. E’ una scelta prettamente politica che nuoce alle prospettive di ripresa perché le risorse destinate ai tagli si perdono, non hanno un immediato impatto sulla crescita dell’economia». Obama dice che serviranno per far recuperare potere d’acquisto alla classe media... «Gli unici a cui andrebbero fatti i tagli fiscali sono i poverissimi, coloro che non hanno neanche i soldi per mangiare. Anche se a ben vedere sarebbe meglio distribuirgli una maggiore quantità di voucher per acquistare alimentari». A suo avviso dove bisognerebbe destinare in alternativa il 40% di risorse? «Anzitutto agli Stati. Bisognerebbe versare ogni anno fra i 150 e i 200 miliardi di dollari ai singoli Stati i cui bilanci sono molto fragili, al punto che rischiano in alcuni casi la bancarotta. L’indebolimento degli Stati rischia di accelerare di molto la depressione perché potrebbero iniziare a licenziare in massa. E’ uno dei pericoli da allontanare in fretta. Siamo un’Unione e gli Stati devono essere aiutati». Cos’altro? «L’altra priorità è il sostegno ai disoccupati. Gli ultimi dati segnano un aumento vertiginoso della disoccupazione, ai livelli più alti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Per l’esercito di senza lavoro servono garanzie maggiori di quelle esistenti, limitati a sussidi per 39 settimane». Insomma, bisogna dare più soldi ai disoccupati... «Servono sussidi per un periodo più lungo, benefici maggiori e, certo, anche più denaro. Bisogna occuparsi in maniera strutturale dei disoccupati perché il loro numero è destinato ad aumentare». Ma non crede che provvedimenti come quelli che suggerisce peserebbero ulteriormente sull’indebitamento pubblico? «Per superare una crisi come quella attuale lo Stato deve spendere. Indebitarsi non ha solo conseguenze negative. Il punto però è scegliere bene in quale direzione spendere perché altrimenti si rischia il boomerang. La mia idea è che bisogna intervenire lì dove l’economia è più debole: oltre a Stati in difficoltà e disoccupati penso ad esempio al problema dei pignoramenti delle case. Il rischio è che i disoccupati si trasformino in un esercito di senza tetto, con devastanti conseguenze sul piano sociale. Servono provvedimenti per consentire ai disoccupati di continuare ad abitare nella case già pignorate». Che cosa pensa dell’idea di Obama di puntare sulla ridefinizione del modello energetico per riportare la crescita? «Su questo punto sono d’accordo. Non c’è dubbio che per uscire dalla crisi dobbiamo cambiare il nostro modo di vivere e modificare le nostre città. Per questo servono investimenti nelle nuove energie così come nelle infrastrutture ma affinché si abbiano i risultati desiderati bisogna fare attenzione a che i fondi raggiungano i laboratori di ricerca, favoriscano lo sviluppo di nuove intelligenze e mestieri. Bisogna valorizzare il potenziale creativo dell’America per farla ripartire. Si tratta di un’esigenza di lungo periodo. E per mettere i primi mattoni è preferibile destinare miliardi di dollari ai laboratori anziché a tagli fiscali la cui unica evidente utilità è rabbonire i repubblicani di Washington». Stampa Articolo