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 2009  gennaio 10 Sabato calendario

LE POLITICHE DI MONETA FACILE PRODUCONO SOLTANTO DISASTRI


In uno degli ultimi articoli scritti per il settimanale Newsweek un grande giornalista americano, Steward Alsop, sosteneva che ”il genio consiste nel vedere ciò che è ovvio”. Credo avesse ragione: sono spesso le cose più evidenti le meno comprese. L’ovvietà che ho in mente è che ”la moneta è importante”. Il lettore sarà probabilmente stupito: lo sappiamo tutti! Non è così semplice e ce ne si rende immediatamente conto non appena ci si chieda perché sia importante. (...)

(...) Chiariamo subito che non sto facendo riferimento al reddito (che è un flusso temporale), di cui tutti conosciamo bene l’importanza, ma alla quantità di moneta in circolazione (che è un fondo, suscettibile di cambiare grandezza ma privo di dimensione temporale).

Ripetiamo la domanda e chiediamoci perché la quantità di moneta in circolazione è importante e scopriamo subito che le cose sono meno ovvie di quanto sembrassero a prima vista.

Tutte le economie di questo mondo sono economie monetarie di scambio. In tutti i paesi del mondo esistono prezzi ed esiste la moneta. Per acquistare qualcosa abbiamo bisogno della moneta da spendere, il nostro reddito è misurato in moneta, i nostri depositi bancari sono in moneta, quando impieghiamo i nostri risparmi in titoli spendiamo moneta, e così via.

La nostra attività di tutti i giorni dipende dalla moneta: la quantità di moneta in circolazione è importante perché da essa dipende il livello delle nostre spese per consumo e per investimento. A questo punto, credo, siamo tornati all’ovvietà.

Il termine ”monetarismo” è oggi usato come un sorta di insulto, quasi sinonimo di simpatia per dittature latino-americane che ricorrono alla tortura. E’ in questo senso che il termine viene usato da Fausto Bertinotti e da molti esponenti dell’ultrasinistra.

Se riflettessero sul fatto che ”monetarismo” significa soltanto che la moneta è importante e che di questa ovvietà era consapevole anche Karl Marx, forse non lo userebbero più a sproposito.
Copernico precursore

La quantità di moneta in circolazione influisce sul livello complessivo delle spese di una collettività e, dal momento che le spese di uno sono gli incassi di un altro, determina il totale degli incassi, cioè il reddito monetario generale. Un aumento della quantità di moneta in circolazione si traduce, prima o poi, in un aumento delle spese e dei redditi monetari. Tuttavia, se le nostre maggiori spese si rivolgono all’acquisto di una quantità di beni rimasta invariata, il prezzo di questi aumenta. La quantità di moneta è importante perché contribuisce a determinare il livello dei prezzi monetari. Secondo uno studio recentemente portato alla mia attenzione, sarebbe stato Copernico nel 1522 a sostenerlo – ”la moneta si deprezza quando diventa troppo abbondante” – ben 220 anni prima di David Hume, che viene da molti considerato il padre della teoria quantitativa della moneta. Non escluderei, tuttavia, che innumerevoli altre persone prima di Copernico fossero arrivate alla medesima conclusione. La pratica della ”tosatura” delle monete (grattarne via un po’ d’oro da usare per farne altre) riduceva il loro potere d’acquisto perché faceva aumentare i prezzi e sarebbe assai singolare se nessuno se ne fosse accorto.
La storia insegna

La relazione fra quantità di moneta e livello dei prezzi è una delle regolarità meglio documentate dell’economia. L’afflusso di oro dal nuovo mondo e la conseguente inflazione in Europa, l’iperinflazione tedesca del 1923, l’inflazione della prima e, ancor più, della seconda guerra mondiale, sono tutte illustrazioni di un fatto inoppugnabile: non c’è mai stato un aumento eccessivo della quantità di moneta che non sia stato seguito da inflazione; non c’è mai stata un’inflazione che non sia stata preceduta da un aumento sproporzionato della quantità di moneta in circolazione.

Il ”monetarismo” nella sua essenza è tutto qui e risultano davvero oscure le motivazioni di tanta ostilità. Il fatto è che, grazie alla colossale opera storica e teorica di Milton Friedman, la riabilitazione della teoria quantitativa della moneta ha consegnato alla pattumiera della storia una serie di miti della versione semplificata della teoria keynesiana tanto cara agli statalisti. Anzitutto, non è vero, come molti ripetono a tutto spiano, che la Grande Depressione del 1929 abbia avuto luogo malgrado una politica monetaria espansiva, essa fu al contrario conseguenza di una drastica diminuzione della quantità di moneta in circolazione. A fallire non furono il mercato e la moneta, ma la politica. Non solo fu una serie di errori politici a determinare la Grande Depressione, ma non fu la politica a curarla. Non il New Deal di Roosevelt pose termine alla crisi – il tasso di disoccupazione in Usa fu superiore al 25% dal 1931 al 1941 – ma la guerra.
Precondizioni necessarie

Le politiche di moneta facile e di finanza allegra propugnate dagli statalisti pseudo keynesiani producono soltanto inflazione, debiti e distorsione nell’uso delle risorse produttive. La ripresa delle ostilità contro il monetarismo è soltanto lo scoperto, puerile tentativo di resuscitare ricette di politica economica del tutto screditate. La stabilità monetaria è precondizione necessaria per lo sviluppo; la gestione accorta del bilancio pubblico è ineludibile premessa della credibilità finanziaria dello Stato; una tassazione moderata, trasparente ed equa è fondamentale premessa allo svolgimento ed alla crescita delle attività produttive, dello sviluppo e dell’occupazione. La teoria quantitativa della moneta è molto antica, ma resta vera oggi quanto nei secoli scorsi.