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 2009  gennaio 10 Sabato calendario

LE RIDUZIONI FISCALI SONO TROPPE" I NOBEL DI SINISTRA ATTACCANO BARACK


New York. Il ministero del lavoro ha ieri confermato le nere previsioni fatte dal presidente eletto Obama giovedì, quando ha lanciato il suo Piano per la Ripresa. I posti persi in dicembre secondo il sondaggio ufficiale tra gli imprenditori sono stati 524mila, a metà delle diverse proiezioni dei sondaggi che avevano indicato una forbice tra 500mila e 550mila, ma con le revisioni dei mesi precedenti (...)

(...) entrambe al ribasso (da 533mila a 584mila a ottobre e da 320mila a 423mila in novembre) il totale negativo per l’intero 2008 è risultato di 2,6 milioni di buste paga sparite. Negli ultimi 12 mesi il tasso di disoccupazione è così cresciuto del 2,3% e i posti persi in assoluto sono saliti di 3,6 milioni di unità.

Gli statistici hanno anche notato che il dato di declino annuo è il peggiore dai 2,75 milioni di posti persi nel 1945, ma il riferimento è improprio: la popolazione da allora è più che raddoppiata. Ciò che conta è la percentuale di persone che sono respinte dal mondo del lavoro sul totale di coloro che lo cercano, e questo tasso è balzato in dicembre al 7,2% dal 6,8% di novembre. Era da 16 anni che non si toccava una simile vetta, e gli economisti si aspettavano un rialzo minore, al 7%.

Negli ultimi 4 mesi del 2008 sono stati bruciati 1,9 milioni di posti, il che indica la brusca accelerazione della recessione nella seconda metà dell’anno, un trend che è destinato a durare quasi sicuramente superando i 16 mesi della più lunga recessione degli ultimi decenni, quella del 1981. Un secondo sondaggio tra le famiglie ha rilevato che la disoccupazione nazionale è cresciuta in dicembre di 632mila unità a 11,1 milioni, con una perdita di occupati pari a 806mila unità. E un indice di misurazione della disoccupazione alternativo ai due più classici citati, e basato sui lavoratori così scoraggiati dal clima economico da non cercare un impiego, ha mostrato che il tasso è salito dal 12,6% di novembre al 13,5% di dicembre, il più alto da quando questo dato viene calcolato (13 anni fa).

Il calo occupazionale si è ormai esteso a quasi tutti i comparti del business, ben oltre il mattone e la finanza che erano state le vittime all’inizio della recessione: solo un comparto su quattro in dicembre ha infatti assunto gente più di quanta non ne abbia licenziata. A guidare l’esodo le industrie produttrici di beni, che hanno tagliato 251mila posizioni, di cui 149mila nelle aziende manifatturiere. La settimana lavorativa nelle fabbriche è scesa sotto le 40 ore (a 39,9 ore) e lo straordinario medio si è ridotto a 3 ore. Tra le 84 industrie manifatturiere solo l’11% sta ancora assumendo.

In questo clima plumbeo, con la Fed che non ha più l’arma della riduzione dei tassi dopo averli portati sostanzialmente a zero (tra lo 0 e lo 0,25%), non resta che il maxistimolo che Obama ha calorosamente proposto al Congresso giovedì, invitando i due partiti a unirsi per farlo passare in fretta. Ma la sua speranza di bruciare i tempi rischia di andare delusa. Dalla sinistra, sia in Senato sia nella "intellighenzia liberal", sono piovute forti critiche. Per i due Nobel Joseph Stiglitz e Paul Krugman il piano contiene troppe riduzioni fiscali (il 40% in tagli e crediti a famiglie e imprese) ed è comunque di dimensioni per loro ridotte, anche se non sarà inferiore agli 800 miliardi di esposizione pubblica, che si aggiungeranno ai 1200 miliardi di dollari di deficit federale previsto dall’Ufficio del Congresso per l’anno fiscale in corso (che si chiuderà a fine settembre 2009). «Il grande piano non è grande abbastanza, non è adeguato a ciò che richiede l’economia adesso», ha ammonito Krugman dalle colonne del New York Times. Mentre per Stiglitz l’eccessiva apertura ai Repubblicani, con l’inserimento di tagli alle tasse superiori a quelli di Bush degli anni passati, vanificherà i benefici delle spese pubbliche in ponti, strade, sanità, energia, scuola. Obama il centrista ha scelto di inserire tutti gli ingredienti nella sua ricetta, perchè vuole raccogliere consenso nel Paese e voti in parlamento: una scommessa che deve reggere alle resistenze partigiane, ovvie dall’opposizione ma che stanno crescendo nel suo stesso partito.