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 2009  gennaio 10 Sabato calendario

IN LIBERTA’ IL MASSACRATORE DI FRATI E GAY


La ditta criminale di Marco Furlan e dell’inseparabile amico Wolfgang Abel rivendicò 28 omicidi. Uno in più rispetto agli anni di carcere (27) ai quali furono condannati dalla Corte Suprema nel 1991.

Erano gli anni Ottanta ed essendo ormai stato acciuffato Renato Vallanzasca, la scia quotidiana di sangue e rapine e nascondigli e amori, sull’orizzonte della cronaca nera aveva lasciato il posto a un nuovo sole malato: il delitto seriale. E quello firmato Ludwig fece molto clamore.

Ventotto omicidi rivendicati, anche se alla fine la giustizia sul conto degli imputati di morti ne ha messi 15 (39 i feriti). Un cadavere in meno rispetto agli anni (16 e due mesi) che Marco Furlan ha passato in prigione. Quasi tutti in quella di Opera, Milano. Dal 3 gennaio è un uomo libero: ha finito di scontare la pena. Il Tribunale di sorveglianza, già dal 23 aprile dello scorso anno, gli aveva concesso l’affidamento ai servizi sociali. Un beneficio guadagnato con la buona condotta. Da sabato scorso Marco Furlan non ha più nessun vincolo e la sera può tornare liberamente nella casa popolare che l’Aler gli ha dato in affitto. Per brindare alla libertà, aspetta solo che il magistrato gli notifichi l’atto di fine pena. Da detenuto ha usufruito di tre condoni e di uno sconto di pena di 45 giorni ogni semestre, sempre perché dietro alle sbarre si è comportato ottimamente.

Diversa la sorte per il complice Wolfgang Abel, il quale avrebbe finito di scontare la galera già nel 2006 se non fosse che la Cassazione gli ha prolungato la misura detentiva per altri due anni in una casa di ”risocializzazione” a Sulmona, e questo dopo averlo giudicato «socialmente pericoloso». Fra una decina di giorni però anche Abel tornerà libero.

I due inseparabili amici, diventati assassini seriali, risiedevano a Verona e appartenevano a famiglie ricche, perfettamente inserite nella società che conta. Il padre di Furlan (Silvano) è un chirurgo plastico molto famoso; quello di Abel (Gerard) rappresenta in Italia un gruppo assicurativo tedesco leader in Europa. Il sodalizio fra Marco e Abel si stringe sui banchi del liceo Scientifico Fracastoro di Verona, e continua negli anni dell’università: laurea in Fisica e Ingegneria per Furlan; 110 e lode in Matematica per Abel.

Facevano gli studenti modello, i figli benestanti e sprezzanti, e soprattutto i killer per passatempo. Avevano 18 e 17 anni quando ammazzarono la prima volta: il barbone Guerrino Spinelli, bruciato vivo nella sua Fiat 126 a Verona (25 agosto 1977). Ne avevano 24 e 23 quando uccisero l’ultima: padre Armando Bison era un prete in là con gli anni. Fu colpito la sera del 26 febbraio 1983 alle spalle, in via dei Giardini a Trento, lo trovarono con uno scalpello da muratore piantato nel cranio. E lo scalpello era sormontato da un crocifisso.

Il 14 maggio 1983 fu incendiato il cinema Eros di Milano specializzato in film a luce rosse. Morirono sei persone e altre 32 riportarono gravi ustioni. Poi due azioni all’estero. Il 17 dicembre 1983 diedero alle fiamme il sexy club Casa Rossa di Amsterdam: 13 morti (ma per la polizia la rivendicazione è dubbia). L’8 gennaio 1984 mandarono a fuoco una discoteca di Monaco di Baviera: un morto e sette ustionati.

Due anni prima, 20 luglio 1982, Abel e Furlan ammazzarono due vecchi frati. Gabriele Pigato e Giuseppe Lovato furono massacrati a martellate al rientro da una passeggiata, davanti al Santuario di Monte Berico (Vicenza).

Omicidi feroci per: «Ripulire il mondo da gente senza onore» e tutti rivendicati con volantini firmati Ludwig , «Il vero Dio». Messaggi scritti in carattere runico, un’aquila che sovrasta una svastica e il motto di hitleriana memoria: «Gott mit uns» (Dio è con noi). Sullo sfondo un apparente farneticare di stampo neonazista.

Lo psichiatra veronese, Vittorino Andreoli, in modo più semplice e chiaro di loro disse e scrisse: «Vuoti eroi del nichilismo. Figli di una ricca borghesia - veronese e non - priva di valori credibili». E li chiamava ”bubboni” il professore, «come ce ne sono molti da queste parti».

Quando furono arrestati (4 marzo 1984) perché con le maschere da Pierrot calate sulla faccia e le taniche di benzina cercarono di mandare a fuoco la discoteca Melamara (nel Mantovano) dove ballavano 400 ragazzi, Marco Furlan parlò per primo: «Volevamo fare uno scherzo», spiegò. «Ho qualcosa contro questo genere di locali, soprattutto per la gente che li frequenta», aggiunse l’amico. A quel punto il giudice istruttore di Verona, Mario Sannite, alzò il sipario sulla catena di delitti firmati da Ludwig. E i due amici vennero inchiodati, con una mole di prove che avrebbe fatto paura a chiunque. Ma non a loro, che ancora oggi respingono le accuse: «Il Melamara sì. I morti sì. Ma con Ludwig non c’entriamo». E lo giura ancora oggi Furlan, che ha 49 anni e fa il consulente in un’azienda informatica di Milano.

Il 10 febbraio 1988 lui e l’amico erano stati condannati a trent’anni dalla corte d’Assise di Verona. Il primo periodo di detenzione terminò per entrambi il 15 giugno dello stesso anno, quando la prima sezione penale della Cassazione accolse il ricorso contro il prolungamento dei termini di custodia cautelare a loro carico. Furono quindi scarcerati e le loro strade si separarono. Nel febbraio del 1991 la Cassazione confermò definitivamente la condanna a 27 anni di reclusione, giudicandoli seminfermi di mente. Pochi giorni prima della sentenza, Marco Furlan scappò in bicicletta facendo perdere le tracce. Lo scovò dopo quattro anni un turista italiano a Creta, lavorava all’aeroporto dopo avere fatto l’interprete, il garzone e il magazziniere nei vari angoli dell’isola greca. Aveva con sè moltissimi soldi. Fu arrestato, riportato in Italia, rinchiuso nel carcere di Opera: era il 17 maggio 1995.

Da aprile esce ogni mattina incravattato come un amministratore delegato e va in ufficio con il tram: «Ho un contratto per nove mesi, poi si vedrà», si limita a far sapere. Da quando è libero, oltre al lavoro, passa il tempo con Lucia e Giovanna, le sorelle che praticamente si sono trasferite a Milano per lui. E dicono: «Marco è innocente. Per Ludwig vuole solo l’oblio».