Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  gennaio 10 Sabato calendario

IL 92’, LE RIFORME A GIAVAZZI


Caro direttore, sul Corriere di giovedì scorso il professor Giavazzi ha ricordato come nel 1992 e nel 1995 l’Italia seppe sfruttare situazioni di crisi per realizzare importanti riforme strutturali. E invita a seguire quegli esempi nella grave crisi di oggi.
Per il ruolo che ebbi allora l’onore di svolgere (Presidente del Consiglio e Ministro del Tesoro) ho particolarmente presenti le vicende del 1995. Attraverso una severa manovra di finanza pubblica riuscimmo a invertire quella tendenza alla crescita nel rapporto fra debito e prodotto che durava ormai da 15 anni. E approvammo una riforma delle pensioni che, sia pure con i tempi di aggiustamento resi necessari dalle esigenze del consenso politico e sociale, per la prima volta riportò i conti previdenziali a una prospettiva di riequilibrio, superando anche infinite iniquità e inefficienze.
Sono d’accordo con Giavazzi: oggi come allora è indispensabile una forte azione riformatrice, che aiuti l’Italia a uscire dalla crisi avendo posto rimedio almeno ad alcune delle sue debolezze strutturali; quelle debolezze che, nei tempi buoni come nei tempi cattivi, fanno sì che il nostro tasso di crescita rimanga sempre inferiore a quello degli altri Paesi sviluppati.
Provo a formulare alcuni esempi concreti delle riforme alle quali si potrebbe e si dovrebbe porre mano celermente.
Un primo intervento è ancora in materia pensionistica. A partire dalla recente sentenza della Corte di Giustizia europea, è necessario superare definitivamente ogni discriminazione dell’età di pensione basata sul sesso. Quella odiosa e costosa discriminazione che manda in pensione le donne in anticipo e che, considerata la natura contributiva del nostro sistema previdenziale, finisce per rivelarsi una misura che le svantaggia. Già la riforma del 1995 che porta il mio nome, terminato il periodo transitorio, poneva fine a questa discriminazione. Con provvedimenti successivi essa è stata invece reintrodotta. Bisogna tornare, con la necessaria gradualità, ai principi della riforma del 1995. Ciò libererà spazio nel nostro bilancio pubblico per una più decisa riforma degli ammortizzatori sociali, che estenda le coperture ai tanti che purtroppo ne sono oggi sprovvisti (lavoratori precari, lavoratori nelle imprese più piccole). E’ pur vero che gli esborsi di una tale riforma sarebbero immediati, e i risparmi delle modifiche al regime previdenziale invece successivi; ma i mercati finanziari secondo me accetterebbero di buon grado uno scambio fra un maggiore esborso di finanza pubblica immediato e minori uscite future permanenti.
L’altro scambio che sarebbe tempo di attuare è quello, più volte annunciato, fra riduzione dei sussidi alle imprese e riduzione del carico fiscale al quale le stesse imprese sono soggette. Nella crisi, la prima componente della domanda a cadere è costituita dagli investimenti. Ed è una caduta particolarmente costosa, poiché meno investimenti oggi comportano meno crescita non solo oggi, ma anche domani. E’ necessario dunque contrastare la caduta degli investimenti. Ed è noto che gli investimenti sono determinati dal tasso di profitto atteso, al netto delle imposte; mentre – ormai quasi tutti ne convengono – sono poco o punto influenzati da incentivi pubblici che, per la loro aleatorietà, quando arrivano vengono considerati una sorta di manna caduta dal cielo ex post, ma non concorrono a determinare le scelte ex ante.
L’ultimo esempio è quello relativo alla necessità di evitare che le banche restringano troppo, in tempi di crisi, il credito all’economia. Ci si affanna a immaginare meccanismi che raggiungano questo obiettivo; dal monitoraggio prefettizio al maggiore sostegno concesso ai consorzi di garanzia collettiva fidi. Ma altrove le banche sanno che se un’impresa da loro finanziata finisce in default, più o meno un terzo dell’onere del fallimento ricade sulla finanza pubblica, via deducibilità degli accantonamenti costituiti in bilancio per fronteggiare le perdite su crediti. In Italia abbiamo limiti alla deducibilità di queste perdite particolarmente severi, limiti che, oggi più che mai, inducono le banche a un atteggiamento particolarmente prudente. Se si ritiene, come è giusto, che occorre scongiurare il cosiddetto credit crunch, piuttosto che con misure episodiche è utile agire con misure strutturali che incentivino, qui come ovunque altrove nel mondo, le banche ad assumere atteggiamenti più coraggiosi.
Altri esempi sono possibili. Ma la sostanza è questa: le scelte che faremo, o non faremo, in questa situazione di crisi influenzeranno pesantemente il tasso di crescita futuro della nostra economia. E’ il tempo di scelte coraggiose che riportino in alto quel tasso di crescita.
Come ricordava Giavazzi, anche in questa crisi dobbiamo avere la forza di far sì che ex malo bono.
Lamberto Dini ha colto l’importanza di non gettare al vento un’occasione forse irripetibile, così come il suo governo, nel 1995, non perse l’occasione della crisi di allora per varare un’incisiva riforma previdenziale. Le tre proposte che egli avanza sono tutte ragionevoli, anche se diverse: l’intervento sull’età di lavoro ha effetti sulla sostenibilità del debito nel medio periodo; le altre due sono più congiunturali. Ma un pacchetto di riforme non può dimenticare il mercato del lavoro. Il vero scambio, oltre a quello previdenziale, è tra sussidi di disoccupazione per tutti e una ri-scrittura da zero dello Statuto dei lavoratori, non solo l’art. 18. Il senatore Pietro Ichino sembra aver convinto il Partito democratico dell’importanza di questo scambio; forse Lamberto Dini potrebbe usare la sua esperienza e la sua influenza nella maggioranza per favorirlo.