Alessandro Penati, la Repubblica 10/1/2009, 10 gennaio 2009
QUARTO CAPITALISMO COSI’ E’ SE VI PARE
Le chiamano "quarto capitalismo" o "multinazionali tascabili": sono le imprese italiane di medie dimensioni (160 dipendenti e 67 milioni di fatturato in media nel 2007 secondo Mediobanca, che da tempo le analizza). Esportano oltre 60% del fatturato; localizzate prevalentemente al Nord (65% in Lombardia, Veneto ed Emilia); e concentrate nella produzione di beni per la persona (abbigliamento e tessile, pelle e cuoio, gioielli), per la casa (ceramiche e materiali per la costruzione, mobili e legno), macchinari e meccanica. Sono il famoso Made in Italy, apprezzato ovunque: 4000 aziende medie, più altre 600 medio-grandi.
Gestione e proprietà sono a carattere familiare. I rapporti col mercato dei capitali, ridotti al minimo: le quotate sono meno di 30; quelle interessate dal private equity, appena lo 0,4%; per gli investimenti, basta l´autofinanziamento; e l´indebitamento finanziario è inferiore al patrimonio). Per crescita e redditività hanno surclassato le grandi imprese italiane, e tengono in piedi il nostro export. Ciononostante, da anni i Governi le tassano con un´aliquota effettiva media del 48%, superiore di 13 punti a quella dei grandi gruppi!
Provo molta simpatia per il quarto capitalismo. Impossibile sminuirne la rilevanza. Ma non può essere il cardine delle sviluppo economico italiano.
Le medie imprese hanno, in totale, 580.000 occupati: quanti Siemens e Nokia messe assieme. Anche aggiungendone 200.000 per le medio-grandi, sono troppo pochi per un paese di 60 milioni di abitanti. Il loro impatto sulla produttività complessiva del paese è necessariamente limitato. Non siamo la Danimarca o la Finlandia (popolazione, 5 milioni): nei grandi paesi, la differenza la fanno le grandi imprese.
Le nostre multinazionali sono tascabili, e non ricorrono ai mercati finanziari, perché il Made in Italy non richiede grandi capitali, tecnologie innovative o investimenti in ricerca. Sono settori dove la produttività vale poco. Nel quarto capitalismo il costo medio per dipendente è 43.000 euro, circa 1.700 netti al mese; icone del Made in Italy come Poltrona Frau o Tod´s pagano 1.600 netti. Un´azienda gioiello come Brembo ha un costo medio per dipendente di 32.500 euro, la metà di grandi gruppi industriali come Siemens, Alstom, Daimler, Nokia, Alcatel, Eads che, grazie alle economie di scala, investono enormi risorse in capitale fisico e umano. Per elevare significativamente il reddito nazionale, non basta moltiplicare le multinazionali tascabili: bisognerebbe che crescessero. Il commercio internazionale è una strada per farlo, ma percorribile solo da chi può sfruttare i nuovi mercati per rendere i grandi investimenti remunerativi. Una strada, quindi, preclusa alle nostre "tascabili".
In dieci anni, il valore aggiunto per dipendente delle medie imprese è cresciuto del 2,9% annuo: non male rispetto alla stagnazione dell´economia italiana. Ma quasi tutto l´aumento è andato in profitti. Gli stipendi (+2,9%), quasi tutti erosi dall´inflazione (2,4%). Un successo non sostenibile nel lungo periodo. Inoltre la redditività sul capitale investito del quarto capitalismo nel 2007, già in declino da dieci anni, era mediamente 9,2%: la metà di quanto realizzato dal drappello delle quotate, segno che la redditività è generalmente inferiore a quella richiesta dal mercato dei capitali.
Inoltre, l´enfasi italica sull´estetica dei manufatti ci fa dimenticare che nei paesi industrializzati sono i servizi a far crescere il benessere: settori in cui non brilliamo per imprenditorialità.
La teoria insegna che le imprese esportatrici di un paese sono quelle più efficienti. Ovvio quindi che siano le nostre "tascabili" a trainare l´export italiano. Ma a ben vedere il segnale è preoccupante: il meglio dell´imprenditoria opera in settori a basso valore aggiunto, né si può avvantaggiare delle economie di scala perché investe poco in ricerca e tecnologia.
Però, come insegna Pirandello, "così è se vi pare": ognuno vede la realtà come vuole.