Note: [1] Marco Ansaldo, La Stampa 10/1; [2] Maurizio Galdi, La Gazzetta dello Sport 9/1; [3] Roberto Perrone, Corriere della Sera 9/1; [4] Guglielmo Buccheri, La Stampa 9/1; [5] Franco Ordine, Il Giornale 9/1; [6] Marco Imarisio, Corriere della Sera 9/1;, 10 gennaio 2009
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 12 GENNAIO 2009
Sulla cartellina che contiene gli atti del consiglio di amministrazione della Juventus compare da qualche tempo il simbolo dei 29 scudetti, con una postilla scritta in piccolo che recita: «di cui due revocati». Marco Ansaldo: «Nei primi mesi dopo il processo su Calciopoli, quando nella nuova dirigenza era più forte il senso di imbarazzo e di colpa, sulle brochure gli scudetti erano invece 27 con la postilla ”più due revocati”». [1] Giovedì la decima sezione del tribunale penale di Roma ha emesso la sentenza di primo grado del processo alla Gea, la società che dal 2001 al 2006 gestì le procure di numerosi calciatori di Serie A e B. Luciano Moggi, ex direttore generale della Juventus, è stato condannato a un anno e sei mesi per ”violenza privata”; il figlio Alessandro, ex presidente della Gea, a un anno e due mesi per lo stesso reato; tutti gli altri imputati (tra cui Davide Lippi, figlio del Marcello che allena la nazionale) sono stati assolti. Secondo l’ipotesi dell’accusa i Moggi e gli altri imputati facevano parte di un’associazione per delinquere finalizzata all’illecita concorrenza, per questo il pm Luca Palamara era arrivato a chiedere sei anni per Moggi sr., cinque per Moggi jr., tre e mezzo per Franco Zavaglia (ex amministratore delegato della Gea) ecc.: tutti sono stati assolti per «non aver commesso il fatto». [2]
I Moggi sono stati condannati per le presunte pressioni sui calciatori Nicola Amoruso, Emanuele Blasi, Ilyas Zeytulaev e Viktor Boudianski. Moggi sr.: «Blasi aveva preso una squalifica di otto mesi per doping. Arriva alla Juve. Mi telefona il suo procuratore per chiedere un adeguamento del contratto. Io allora chiamo il giocatore e gli dico: non ti permettere mai più. Prima te lo meriti, poi ti aumento lo stipendio. Ha fatto 27 partite, è finito in nazionale e ha avuto quello che voleva. Poi c’è Amoruso. Ancelotti è venuto al processo a testimoniare che il giocatore non gli serviva. Lo cediamo, ma lui s’impunta: resto. Bene, ma resti pure in tribuna. E mi condannano. Benitez ora a Liverpool ha fatto esattamente lo stesso con Pennant». [3] Moggi jr.: «Pago con un anno e due mesi l’aver parlato sì e no trenta secondi con Budiansky e Zetulayev e per non aver impedito una telefonata di un dirigente, mio padre, ad Amoruso». Per i due non ci saranno conseguenze pratiche: i giudici hanno disposto per entrambi la sospensione della pena che sarà completamente coperta da indulto. [4]
Oltre ad aver scontentato il pubblico ministero e i due condannati (che faranno appello), la sentenza di giovedì lascia molti dubbi. Maurizio Galdi: «I giudici hanno potuto basare il loro giudizio solo su poche ”certezze”. Cominciamo dalla vicenda Blasi. Non sono state le dichiarazioni rese dal calciatore in aula, ma le intercettazioni agli atti a far decidere sulla ”violenza” subita dal calciatore (più probabile dal suo agente attraverso il calciatore), ma per avere conferme bisogna aspettare il deposito delle motivazioni della sentenza. Una cosa è certa. Questa era il punto di forza dell’accusa ed ha retto, in parte, ma ha retto. Le dichiarazioni di Moggi, la testimonianza di Blasi, non sono sufficienti e la posizione del calciatore è ancora all’esame per ”reticenza”». [2] Palamara: «I giocatori non hanno offerto alcun contributo alle indagini. Loro fanno parte di questo mondo e hanno, evidentemente, altri interessi da coltivare». [5]
Nonostante il racconto fatto ai pm e le intercettazioni dei soci Gea, ad aprile, in aula, Blasi disse che era tutta un’invenzione. Marco Imarisio: «Al telefono con il suo procuratore Stefano Antonelli urlava contro ”i pezzi di m...” della Gea che a suo dire lo stavano obbligando ad entrare nella loro scuderia, cosa poi avvenuta. In aula, il centrocampista del Napoli afferma che le pressioni da lui denunciate in realtà erano una sua sagace invenzione ”per levarmi di torno il mio procuratore che non riusciva a farmi avere un adeguamento di contratto con la Juve”». [6] Amoruso ha ammesso solo in parte di aver subito pressioni: «Luciano Moggi mi minacciò di non farmi più giocare se non avessi accettato il trasferimento al Perugia», ha detto il 3 marzo scorso. Ma poi: «Ho revocato il procuratore Antonio Caliendo nel maggio 2001 senza alcuna pressione da parte di Alessandro Moggi. Ero semplicemente deluso per l’esperienza negativa a Napoli». [7]
Secondo Palamara, il caso di scuola è quello di Baiocco. Imarisio: «Nel giugno 2001 Davide Baiocco è un calciatore inquieto. Gioca nel Perugia, quella appena conclusa è stata la sua migliore stagione. Vuole Inter o Juve. All’età di 26 anni, dopo una lunga gavetta spesa tra Gubbio, Fano, Siena e Viterbo, sente di averne diritto. Le luci della ribalta e i soldi che ne conseguono, ora o mai più. Il suo agente Giovanni Allegrini ci prova. Ma a gennaio il presidente del Perugia dice al suo centrocampista che senza un cambio di procuratore non va da nessuna parte, non fa carriera. ”Il suo passaggio alla Juve fu trattato direttamente dal Perugia, io non ebbi alcuna possibilità di parlare con i due club”, ricorda Allegrini. Il 21 dicembre del 2001 invia un fax al calciatore per dirgli che l’operazione è comunque fatta. Il giorno dopo viene ricompensato con la revoca del mandato. Il 31 gennaio 2002 Baiocco firma l’agognato contratto con la Juve. Il 12 giugno dello stesso anno affida la procura alla Gea di Moggi padre e figlio. Negherà sempre, negli interrogatori del 2006 e poi l’anno scorso in aula, che nelle sue decisioni professionali sia esistito il rapporto di causa ed effetto che i magistrati consideravano invece evidente». [6]
«Questo è un via libera a tutti i dirigenti che fanno i fenomeni con i soldi degli altri a buttarli dalla finestra. Se io davo l’aumento a Blasi e accontentavo Amoruso non stavo qui, adesso. Questo è un modo di dire ai giocatori: fate quello che volete. E a minare il ruolo del direttore sportivo. Sa qual è stato il mio errore? Ho sempre cercato l’interesse della mia società. E mal me ne incolse», ha commentato Moggi sr. appresa la condanna.
[3] Giovanni Cobolli Gigli, presidente della Juventus: «Sia Luciano Moggi che suo figlio Alessandro hanno avuto condanne molto più miti di quelle che avevano proposto i pubblici ministeri. Se in futuro constateremo che ci saranno altre assoluzioni o sentenze miti, allora dovremo avere la coscienza che gli scudetti della Juventus sono 29 e non due di meno». [8] Roberto Beccantini: «Sbaglia, Cobolli Gigli, a cavalcare l’onda emotiva dei 29 scudetti. Troppo comodo. Non si scaldò neppure quando il commissario Guido Rossi ne regalò uno all’Inter, curioso che lo faccia adesso». [9]
La prima cosa da chiarire è che la sentenza Gea non ha niente a che vedere con lo scandalo del calcio che portò alla revoca degli scudetti della Juventus. Mario Sconcerti: «Questo era il processo alla Gea, sede Roma. Quello è il processo a Moggi eventuale architetto del male del calcio, sede Napoli, udienza il 20 gennaio. La seconda è che non esiste sentenza del calcio che trovi proporzione in una sentenza penale. Regalare ad arbitri tessere telefoniche per poter parlare senza essere intercettati ha rilevanza penale zero ma rilevanza sportiva massima». [10] Piero Sandulli, giudice di secondo grado del processo sportivo di Calciopoli che condannò la Juve alla B: «Questa questione io di solito la spiego così: andare in giro senza cravatta per il centro di Roma non è reato; andare in giro senza cravatta in un circolo del golf in cui l’obbligo della cravatta è prescritto dal regolamento può portare all’espulsione dal circolo». [11]
La Giustizia Sportiva sbrigò tutto in dodici giorni, tra il 14 e il 25 luglio 2006. Nino Cirillo: «Con due sentenze stravolse campionato, coppe e vertici societari e garantì l’inizio regolare della stagione. Qualcuno ebbe a storcere il naso davanti a certi aggiustamenti dell’ultim’ora, altri criticarono la ”sommarietà” di quei due gradi di giudizio, l’estrema disinvoltura nella scelta dei testimoni, le poche armi che si lasciarono in mano alle difese. Ma si poté voltare pagina». [12] Paolo De Paola: «I soliti puristi della materia, diranno che non si possono mettere sullo stesso piano la giustizia sportiva e quella ordinaria, ma ci farebbe molto piacere guardare negli occhi quanti sosterranno questa tesi a processi ultimati, perché è sull’indagine penale e non su quella sportiva che s’è retto il processo federale del 2006. Non vogliamo fare del facile populismo, ma se decadono le accuse ai dirigenti, se viene sbriciolata la tesi della organizzazione per delinquere e se infine dovesse crollare anche l’ultimo baluardo dell’accusa (la corruzione arbitrale), beh allora si dovrà riparlare di tutto». [13]
Il 20 gennaio partirà a Napoli il processo su quello che venne definito lo scandalo di Moggiopoli o Calciopoli. Ventiquattro gli imputati chiamati davanti alla nona sezione penale, collegio A, del tribunale: anche qui Luciano Moggi (e molti altri, compresi i designatori arbitrali dell’epoca) è stato rinviato a giudizio per associazione a delinquere (per frode sportiva). [14] Il castello accusatorio è in buona parte collegato a ciò che è stato valutato a Roma. L’avvocato Maurilio Prioreschi (difensore di Zavaglia nel processo Gea): «Si è partiti dalle stesse intercettazioni, si parla anche lì del ruolo della Gea come centro di potere. come se a un palazzo fosse stato tolto uno dei quattro pilastri su cui poggiava e l’ipotesi dell’associazione per delinquere a Napoli è ancora più ridicola che a Roma. Ci sono accuse sconclusionate e abbiamo molte eccezioni da porre sia sulla sede che, ad esempio, sulle intercettazioni telefoniche: chiederemo che le trascrivano tutte e non soltanto quelle che hanno voluto far conoscere». [15]
L’attesa per la sentenza di Napoli sarà molto lunga (dai 3 ai 5 anni prevedono gli avvocati), ma forse per la Juve si riaprirà lo spiraglio per ottenere una parziale riabilitazione e magari per chiedere la revisione dei processi sportivi che le tolsero due scudetti. [15] Marco Ansaldo: «L’idea è che possa cadere l’impianto accusatorio dei pm Beatrice e Narducci, così come è stato con quello costruito dal loro collega Palamara: a Roma i Moggi sono stati condannati a pene molto più lievi di quelle richieste e soprattutto è rimasta in piedi l’accusa meno grave, quella di ”violenza privata” nei confronti di quattro giocatori. Una quasi assoluzione. ”La prima Cupola è stata smantellata, adesso si distruggeranno le altre”, si legge sul sito bianconero Ju29ro, il più attento alle questioni legali. Probabilmente la si butta giù troppo semplice, tuttavia c’è la convinzione che dopo aver negato che la Gea fosse un braccio armato di Moggi, la giustizia ordinaria faticherà a dimostrare il teorema di un’associazione per delinquere che gestiva il calcio italiano». [1]