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 2009  gennaio 09 Venerdì calendario

IL COLOSSO CINESE LENOVO LICENZIA 2.500 DIPENDENTI


Lenovo taglia l’11% della propria forza lavoro. Ieri, il colosso cinese dei personal computer ha annunciato il licenziamento di circa 2.500 dipendenti.
La pesante ristrutturazione degli organici è l’effetto del calo della domanda mondiale di pc, che nell’ultimo trimestre 2008 ha spinto in rosso l’utile operativo della società. «Sebbene sia un fatto duro da accettare per i nostri dipendenti, pensiamo che oggi questo sia un passo necessario per consentire al gruppo di recuperare competitività sui mercati mondiali», ha detto l’amministratore delegato di Lenovo, William J.Amelio. I tagli rientrano in un piano di abbattimento di costi da 300 milioni di dollari, varato per il 2009 dalla multinazionale cinese.
Il mercato, però, non ha gradito i licenziamenti. Ieri, alla Borsa di Hong Kong, il titolo Lenovo ha perso il 26% (ha chiuso la seduta a 1,91 Hong Kong dollars), mettendo a segno la peggiore performance degli ultimi dieci anni.
L’annuncio dei massicci tagli occupazionali da parte del gigante industriale cinese arriva in perfetta sincronia con un altro annuncio dello stesso tenore. Due giorni fa, tramite la stampa nazionale, il Governo cinese ha lanciato l’allarme occupazione. Con un gesto d’insolita franchezza, Pechino ha ammesso che la perdita di posti di lavoro avvenuta negli ultimi mesi nell’industria manifatturiera (si parla di 10 milioni di neo-disoccupati) potrebbe avere delle gravi ripercussioni sulla stabilità sociale del Paese.
Oggi in Cina la disoccupazione ufficiale ammonta al 4% della forza lavoro, un tasso del tutto fisiologico per un’economia che nell’ultimo biennio è cresciuta a tassi superiori al 10 per cento. Ma quella reale è ben più elevata: secondo le stime degli istituti di ricerca, il tasso di disoccupazione effettivo si aggira intorno al 9 per cento.
La crisi economica globale non potrà che peggiorare la situazione. La paralisi della domanda mondiale sta colpendo l’industria cinese a macchia di leopardo. Soffrono, ovviamente, le aziende dipendenti dalle esportazioni (è il caso di Lenovo). Soffrono le società labour intensive, come quelle che affollano il bacino manifatturiero del Guangdong; le quali, di fronte alla crisi, sono costrette a tagliare selvaggiamente posti di lavoro. E soffrono le imprese di costruzioni rimaste strangolate tra la frenata dei valori immobiliari e la crisi di liquidità.
Secondo gli analisti, nel primo semestre 2009 (un periodo che per Pechino si annuncia come uno dei più difficili degli ultimi vent’anni) potrebbero svanire fino a 15 milioni di posti di lavoro. I più falcidiati dai tagli occupazionali saranno i lavoratori emigrati dalle campagne e dalle zone interne del Paese. Il che rappresenta un fattore di potenziale instabilità, poiché solitamente questa gente non può contare su alcun tipo di ammortizzatore sociale; in alcuni casi, i contadini-operai sono licenziati senza neppure percepire diversi mesi di stipendi arretrati.
Ecco perché oggi il Governo cinese è tanto preoccupato. Nel piano di stimolo all’economia da 600 miliardi di dollari varato lo scorso novembre sono stati stanziati dei fondi specifici per contrastare la disoccupazione. Ma vista la portata che va assumendo il fenomeno, rischiano di essere solo noccioline.