Marcello Bussi, Milano Finanza, 10/1/2009, 10 gennaio 2009
EVVIVA LA BANCA DI STATO
Antonio Foglia, direttore della Banca del Ceresio ed esponente di una famiglia che ha fatto la storia della finanza, è stato fra i primi a capire che Bernard Madoff puzzava di bruciato. E ora ha qualche idea rivoluzionaria
Ha capito per tempo che intorno a Bernard Madoff si sentiva puzza di bruciato. Antonio Foglia è direttore della private bank di famiglia, la Banca del Ceresio, con sede a Lugano, ed è membro del cda di Global Selection Sgr. Inoltre fa parte del board di alcuni hedge fund, tra cui quelli di George Soros. La sua ricetta per risolvere l’attuale crisi finanziaria è radicale. E forse inaspettata se si pensa che viene dall’esponente di una famiglia che ha fatto la storia della finanza (il bisnonno fu il primo presidente della Borsa di Milano dopo la Grande guerra).
Domanda. Dottor Foglia, come avete fatto a evitare la mina Madoff?
Risposta. Noi siamo tra i più vecchi investitori al mondo in hedge fund e gestiamo diversi fondi di fondi. Abbiamo preso in considerazione Madoff nella seconda metà degli anni 90, quando si è cominciato a sapere che offriva rendimenti interessanti. Rendimenti che tuttavia erano allo stesso tempo troppo elevati e troppo poco interessanti.
D. In che senso?
R. Madoff dava l’8-12% senza rischio, nei mesi in cui le cose andavano male i ribassi erano contenuti a meno dell’1%. Ma se un gestore è davvero in grado di offrire l’8% senza rischio non si capisce perché non debba puntare a performance più elevate. A noi interessano gestori con rendimenti (e relativi rischi correlati) più alti. Comunque abbiamo esaminato il caso.
D. Che cosa avete scoperto?
R. Abbiamo visto che Madoff si accontentava delle commissioni di negoziazione e non si teneva quelle di performance, che lasciava invece alla rete commerciale. Ma se sei davvero così bravo come diceva Madoff non hai bisogno di pagare la rete commerciale in maniera così generosa. Inoltre, pur adottando una strategia estremamente complessa di opzioni e arbitraggio di opzioni, Madoff presentava a fine anno un portafoglio solo di T-Bills. Il costo dello smantellamento tutti i book alla fine di dicembre per ricostituirli il mese successivo si sarebbe dovuto vedere nei rendimenti di dicembre e gennaio, ma invece non era così. Quando abbiamo capito le strategie di Madoff abbiamo provato anche a replicarle sul mercato svizzero, ma abbiamo visto che qui non avrebbero funzionato ma non siamo andati a verificare quello che sarebbe successo sul mercato americano.
D. Visto che c’erano tutti questi motivi d’allarme, perché Madoff ha avuto successo?
R. Perché la maggior parte degli investitori, istituzionali e no, è attratta da rendimenti medi a rischio medio e Madoff sembrava dare rendimenti più alti rispetto al rischio apparente. Comunque non siamo stati i soli ad avere dei dubbi e a stare alla larga dai suoi fondi. Bastava avere buonsenso.
D. Nemmeno le autorità di vigilanza si sono accorte di niente. Che cosa pensa di un fallimento così clamoroso?
R. Certo, uno si domanda come sia possibile tenere in piedi in un ambiente regolamentato dalla Sec uno schema come quello di Madoff. Ciò dovrebbe renderci tutti più scettici rispetto alla richiesta generale di maggiore vigilanza e regolamentazione. anche perché in fondo la crisi finanziaria è stata causata in gran parte dalle Autorità e dalla regolamentazione vigente, che hanno permesso alle banche di correre rischi dissennati. Le Autorità hanno consentito che il grosso dell’intermediazione finanziaria venisse fatto fuori dai mercati regolamentati, mercati che con la crisi delle investment bank hanno perso la loro funzionalità. Negli ultimi decenni si sono regolamentati i singoli intermediari ma non si è pensato alla regolamentazione dei mercati in generale, che dovrebbero essere spinti verso la trasparenza. Insomma, bisogna occuparsi più del campo di gioco che dell’abbigliamento dei calciatori.
D. C’è il rischio che l’attuale clima di sfiducia da parte degli investitori possa durare ancora a lungo?
R. L’effetto della ricchezza bruciata finora si può sentire sui portafogli degli investitori istituzionali, come i fondi pensione e le fondazioni, che oggi dominano il mercato rispetto agli individui. Se le risposte di policy a questa crisi non saranno soddisfacenti, allora tutti questi investitori dovranno rivedere i loro piani di asset allocation.
D. Il piano di stimolo dell’economia che sta per essere varato da Obama può essere di aiuto?
R. Nel piano ci sono passi che vanno nella direzione giusta, anche se non intravedo nella composizione della futura amministrazione il tipo di profili intellettuali e professionali necessari a dare una svolta e a cambiare radicalmente il modo di guardare alla regolamentazione dei mercati finanziari. L’amministrazione Obama esprime l’eredità di Bob Rubin ministro del Tesoro ai tempi del crollo dell’hedge fund Ltcm, il primo campanello d’allarme della crisi che adesso è esplosa. Allora Rubin non si era accorto di niente e in seguito è andato a dirigere Citibank, che così è passata dalla prudenza del predecessore John Reed a un’aggressività che ha messo la banca nelle attuali difficoltà.
D. Quindi lei non è entusiasta del nuovo presidente degli Stati Uniti?
R. Vedremo. Se Obama si rende conto che la gente gli chiede un cambiamento ha tutto l’interesse a farlo, nonostante la potenza della lobby di Wall Street.
D. Come giudica la risposta alla crisi data finora dai governi delle principali economie mondiali?
R. La crisi è stata largamente originata da una regolamentazione bancaria che ha permesso di lavorare con una leva finanziaria e con rischi eccessivi. Finora il processo di salvataggio delle banche è arrivato più o meno a metà dell’opera, ma non è stato fatto in maniera coordinata. Il rischio di questa politica dei piccoli passi è che si perda la fiducia anche nei governi, nel caso non venisse mantenuta la promessa di risanare le banche portandole di nuovo a concedere prestiti.
D. Allora che cosa suggerisce di fare?
R. Si dovrebbero nazionalizzare le banche (mettendo a zero gli azionisti), per qualche anno per poter ripensare le regole a bocce ferme. Bisogna infatti capire che cosa è cambiato in un secolo nel mondo finanziario e porsi la domanda se le banche non siano diventate obsolete. Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha sottolineato come il mondo bancario si sia evoluto da un mondo di depositi e prestiti a uno di securities e oggi fa un po’ l’uno e un po’ l’altro. Il mondo dei depositi e prestiti aveva senso quando c’erano poche informazioni sugli istituti dove venivano messi i soldi dei risparmiatori, che avevano quindi bisogno della tutela dello Stato, mentre solo le banche erano in possesso delle informazioni sulle imprese che andavano a finanziare. Ma oggi i principali depositanti in giro per il mondo sono istituzionali, come i fondi pensione che possono scegliere dove investire a ragion veduta. Le aziende poi sono soggette a un grado di trasparenza tale per cui in futuro si potrebbe pensare di sostituire un mondo di depositi e prestiti con un mondo di investitori e obbligazioni, eliminando intermediari troppo in leva e quindi soggetti a crisi ricorrenti come sono diventate le banche.