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 2009  gennaio 10 Sabato calendario

Si potrebbe partire dalla sfuriata di Piero Fassino in Transatlantico o dai patrimoni divisi e che si mantengono gelosamente tali

Si potrebbe partire dalla sfuriata di Piero Fassino in Transatlantico o dai patrimoni divisi e che si mantengono gelosamente tali. La fusione tra Ds e Margherita, da cui è nato il Pd, non si è mai compiuta fino in fondo. Massimo D’Alema, all’ultima direzione nazionale, ne ha dato una immagine folgorante: il Pd è un «amalgama non riuscito». Come dire l’ammissione di un fallimento. E se i centristi soffrono, rimpiangendo la Margherita, lo stesso accade a sinistra, tra gli ex Ds. C’è nostalgia della Quercia, sì. Non di un ritorno sic et simpliciter al partito del Botteghino, in politica tornare indietro è sempre difficile, nessuno crede sia una via praticabile. Piuttosto, per quanto nessuno osi dirlo pubblicamente, cresce la convinzione che la prospettiva, in tempi e modi da stabilire, non può che essere la costruzione di un partito socialdemocratico, riformista, ma più chiaramente di sinistra. Qualcosa che potrebbe nascere solo dalle ceneri del Pd. O perlomeno del gruppo che, ora, lo guida. Chi fa questi ragionamenti, un secondo dopo fa il nome di D’Alema. Perché per quanto lui lo neghi, per quanto smentisca in pubblico e privato non solo di voler guidare, ma anche di guardare con favore a un processo di questo tipo, sono puntati su di lui, fuori e dentro il Pd, gli occhi di chi sogna uno scenario di questo tipo. gli imprenditori orfani E qualche ragione c’è. Basti pensare al successo di Red, creatura dalemiana che, a differenza del Pd, continua a moltiplicare iscritti e ad aprire sedi in tutta Italia, rispondendo a una domanda a cui, evidentemente, il Pd non riesce a rispondere. Lo sa bene Veltroni che, infatti, non ha mai nascosto la sua insofferenza per l’associazione dalemiana. Il problema è che la politica è un po’ come il mercato: se c’è la domanda, non puoi impedire l’offerta. E la domanda, la si chiami nostalgia per i Ds o voglia di un partito più chiaramente socialdemocratico, esiste. Non solo nel ceto politico. Ed è questo, forse, l’indicatore più interessante. C’è un mondo di imprenditori e professionisti, tradizionalmente legato alla sinistra, che non si riconosce nel Pd. Sono quelli che una fonte autorevole definisce gli «orfani dei Ds». La stessa che ci racconta di uomini di impresa, una volta si sarebbe detto ”organici” al partito, i quali confessano di non essere andati a votare alle ultime elezioni e di non aver intenzione di farlo nemmeno in futuro. Perché Berlusconi mai, ma anche il Pd... «Come si fa a votarlo?». E la conclusione dei ragionamenti è sempre la stessa: ci vorrebbe quello che c’è in Francia, in Spagna, in Inghilterra, quello che c’è in tutti i Paesi europei tranne che in Italia: un partito socialdemocratico, riformista, laico, che in Europa sta coi suoi simili, i socialisti europei, senza strane alchimie. Se il Pd avesse vinto, si dice, sarebbe stato tutto diverso. «Il potere è un collante molto forte». Ma all’opposizione, tutto è più difficile. Se manca un’identità comune, se, dalla giustizia ai temi etici, dai riferimenti europei al welfare, la linea è il compromesso al ribasso, la convivenza si sfalda. E così è successo. Sono tanti i segnali di un mondo, sociale e produttivo, che ha abbandonato il Pd ed è in cerca di casa. Uno dei più eclatanti è la Legacoop, un tempo cassaforte economica e di consenso della sinistra. Ormai si muove in totale autonomia dalla politica e guarda al Pd come a un lontano conoscente. Per non dire del mondo bancario, ormai riposizionato sul centrodestra. Un’altra prova di quest’esodo, ma anche del potenziale che ci sarebbe attorno a un’operazione socialdemocratica, è quello che sta facendo Giovanni Consorte. L’ex numero uno di Unipol ha dato vita a una merchant bank, Intermedia, che nel giro di due anni ha raccolto qualcosa come 130 soci che gravitavano attorno al mondo delle cooperative. nella proprietà de Il Bologna, quotidiano locale, e si dice voglia entrare in E Polis, il free-press. Poi ci sono segni più piccoli, ma non meno importanti. Come il gruppo nato su Facebook che si chiama ”Ridateci i Democratici di sinistra”, rivolto a «tutti quelli che ancora hanno nel cuore i Democratici di Sinistra, per tutti gli ex Diessini.... Ai tanti militanti che rimpiangono la Quercia risponde Fassino con un (poco convincente) «Non bisogna mollare! Auguri a tutti voi». Rutelli e il casus belli La tentazione di arrivare a «una separazione consensuale» c’è. A sinistra come al centro. Del resto a confermarlo è proprio il veltroniano Giorgio Tonini che ieri se la prendeva con chi «auspica un anacronistico ritorno a Ds e Margherita». Se a sinistra si guarda a D’Alema, al centro il sospettato numero uno di possibile rotture è Francesco Rutelli. Il quale, naturalmente, smentisce. Privatamente, però, si dice sempre più pessimista nei confronti del Pd, un partito che, così com’è, «non può andare avanti», dove perfino i rapporti personali (vedi la sfuriata di Fassino contro Mantini) sono al minimo storico, «i nervi sono saltati». Che fare? «Vedremo», continua a rispondere a chi glielo chiedo. E racconta che ogni giorno gli arrivano email e lettere di militanti dell’ex Margherita, molti anche popolari, che gli chiedono di prendere un’iniziativa, di fare qualcosa. Lui, per ora, è cauto. Aspetta i prossimi mesi. Anche perché è convinto che la partita si giocherà sulla collocazione europea. Se mai decidesse di rompere con il Pd, sarà quello il casus belli. Non solo perché sarebbe una ragione nobile, ma perché su quella scelta potrebbe portare con sé anche un pezzo di ceto politico dei popolari che di entrare nel Pse non hanno alcuna intenzione.