Maurizio Molinari, La stampa 9/1/2009, 9 gennaio 2009
LAURA FINISCE NELLA POLVERE A CAUSA DI COSTOSE PORCELLANE DORATE
mentre i vestiti di Michelle Obama fanno sperare nel rilancio della moda a stelle e strisce: con l’insediamento di Barack Obama ad appena undici giorni di distanza, il cambio di atmosfera a Washington è già in stato avanzato e a dimostrarlo sono le opposte situazioni in cui si trovano la First Lady uscente e quella che presto le succederà nella East Wing della Casa Bianca.
La bufera di polemiche che investe Laura Bush nasce da un suo passo falso. In coincidenza con la visita alla Casa Bianca di Obama e di quattro ex presidenti, la First Lady ha infatti presentato al pubblico un servizio da piatti in porcellana dorata dal valore di 550 mila dollari, appena acquistati. Sono piatti da capogiro: in un caso si tratta dei tradizionali bianco-verde-oro, in un altro vi sono disegnate sopra delle magnolie in onore degli alberi che si vedono dalle finestre della Casa Bianca. Ma il punto è che con i Bush oramai in uscita dal 1600 di Pennsylvania Avenue non è ben chiaro perché Laura abbia affrontato una tale spesa, adoperando fondi federali. «Sono molto sorpresa dalla scelta di tempo, davvero inspiegabile» ha commentato la scrittrice Sally Quinn, ricordando come una ventina di anni fa fu Nancy Reagan ad essere criticata per aver speso 200 mila dollari dei contribuenti per acquistare un servizio di porcellana con lo stemma presidenziale. All’epoca Reagan fece un passo indietro creando la fondazione «White House Historical Association» per pagare il costo dei preziosi piatti e qualche anno dopo, con Clinton alla Casa Bianca, Hillary sfruttò lo stesso espediente per pagare i 250 mila dollari del conto relativo ad un servizio di piatti che disegnò di persona per celebrare i 200 anni della costruzione della residenza presidenziale. In questo caso invece Laura Bush tarda a spiegare da dove verranno i fondi e tanto basta per spingere network tv - Abc in testa - e grandi giornali a sollevare dubbi sulla moralità di una spesa la cui enormità stride con le difficoltà economiche che attanagliano milioni di cittadini della classe media, alle prese con disoccupazione, pignoramenti e conti in rosso.
Se a pagare il prezzo del declino è Laura - il personaggio più popolare dell’attuale famiglia presidenziale - Michelle naviga in ben altre acque perché l’industria della moda nazionale vede proprio in lei il testimonial di una possibile rinascita. Tanto il «New York Times» che numerosi magazine della «Fashion Industry» riportano le attese di un settore dell’economia che soffre molto la concorrenza dei rivali europei e conta adesso su Michelle per rifarsi in ragione di come si veste.
Gli abiti indossati durante la campagna elettorale infatti sono stati sempre rigorosamente «made in Usa»: il casual di J. Crew per le maratone dei comizi come anche i vestiti per le occasioni più importanti firmati da stilisti locali come Isabel Toledo, Thakoon Panichgul e Narciso Rogriduez. «Michelle ha avuto un approccio alto-basso agli abiti, esprimendo la convinzione che i vestiti devono adattarsi a lei e non viceversa» ha scritto il «New York Times». Hamish Bowles, direttore di «Vogue», sostiene che «Michelle ha già portato giovamento alla moda nazionale» perché ciò che indossa «dimostra che i designer americani sono perfettamente capaci di creare abiti in grado di avere impatto sul palcoscenico globale».
«Michele celebra la moda e gli stilisti americani - concorda Stephanie Solomon, direttore del settore moda di Bloomingdale’s - ed è sempre molto elegante, si veste con ottimo gusto». Da qui le attese per un rilancio del settore: «Ciò che la First Lady veste è destinato ad avere un impatto positivo in un momento in cui la nostra industria si trova al bivio, proprio come quella delle auto e delle banche» assicura Steven Kolb, direttore del Consiglio dei designer d’America.