Mario Baudino, La stampa 9/1/2009, 9 gennaio 2009
CARLO FRUTTERO STRONCA LO SVEDESE DI CUI ESCE IL NUOVO GIALLO: "CHE NOIA"
Arriva La regina dei castelli di carta, il romanzo conclusivo della trilogia «Millennium», e i lettori di Stieg Larsson sono diventati parecchi milioni, tra i Paesi nordici, la Francia, la Germania e l’Italia. Lo sfortunato scrittore svedese - morto cinquantenne nel novembre del 2004 ancor prima di vedere pubblicato il suo libro d’esordio - è intanto diventato oggetto di un vero culto. Vengono organizzate gite turistiche sui luoghi dei suoi romanzi, un giallista francese si è trasferito a Stoccolma per assorbire tutte le atmosfere possibili e scrivere un libro dedicato al «mistero» del quarto manoscritto, forse esistente, forse no; e come accade per i personaggi ormai mitici, infuriano liti e processi per stabilire a chi spetti l’eredità (ai famigliari o alla compagna?), mentre si accavallano indiscrezioni e giuramenti sull’esistenza appunto del mitico quarto libro.
Larsson, che aveva previsto con una certa lucidità il successo della sua opera, aveva in animo di scriverne addirittura dieci: la caccia ad eventuali appunti, abbozzi, piani di lavoro diventa frenetica. Ma c’è da giurare che altrettanto animata sarà la coda in libreria per questo volume, in uscita oggi per Marsilio, che è comunque l’ultimo, per quanto riguarda la paternità dell’autore, al di sopra di ogni sospetto. I lettori ritroveranno personaggi ben noti come Mikael Blomkvist, il giornalista investigatore, e Lisbeth Salander, l’irriducibile hacker, gli intrighi internazionali, i cattivi in agguato, i servizi di sicurezza intenti a commettere porcherie. Questa volta il problema è proprio la piccola Lisbeth: è in ospedale con una pallottola nel cranio, e se qualcuno riuscisse a scavare nel suo cervello potenti organismi segreti crollerebbero come castelli di carta.
C’è di che trattenere il fiato per altre ottocento e passa pagine. Qualcuno, però, non lo farà: anzi, proprio il maestro del giallo letterario italiano ci fa sapere che si guarderà bene dal leggere. Carlo Fruttero rende noto da Castiglione della Pescaia che le porte del suo piccolo regno maremmano sono sbarrate. Gli è bastato Uomini che odiano le donne, il primo tomo della monumentale trilogia. E’ stata una sofferenza. Lui, che con Franco Lucentini ha inventato trame intelligentissime e avvincenti, per esempio in La donna della domenica, oppure barocche e quasi esoteriche in A che punto è la notte, romanzo cui Umberto Eco confessò di dover molto, all’altezza del suo Pendolo di Foucault, con Larsson ha avuto una reazione di rigetto. «Una noia - confessa -. Ho provato di qua, di là, in mezzo, alla fine, qualche pagina da una parte e qualcuna dall’altra. Niente da fare. Ragion per cui l’ho abbandonato molto volentieri al suo destino». Il grande successo non lo impressiona.
Come le sue Donne informate sui fatti, scritto da solo dopo la scomparsa del grande amico e partner, è abbastanza informato di come vanno queste cose. Piace a tutti? Pazienza. «A me, personalmente, sembra scritto non col computer, ma dal computer. E’ come se la macchina producesse direttamente questa brodaglia, un pezzetto di carota, una buccia di patata, e su tutto un certo colore verdino. Insomma, mi ricorda le antiche minestre che pare servissero nei collegi dei bambini poveri, tanti anni fa. E’ una prosa che senza scrittura, le stesse mestolate della stessa roba, una dopo l’altra». Non sarà un giudizio troppo severo? «Severo. Via, non saprei quanto severo». E come gli accade, scarta. Cambia argomento. «Sa una cosa? Mi viene in mente Ravel». Il compositore francese? L’uomo del bolero? «Proprio lui. Polemizzando con certi artisti del suo tempo, definiva la loro produzione ”musique de robinet”, musica di rubinetto, quella che poteva andare avanti all’infinito, sempre eguale. Piaceva molto, all’epoca. E anche ora, direi. Il criterio della musica di rubinetto tende a prevalere, ma ciò non toglie che io non abbia intenzione di ascoltarla oltre, e se è scritta, di leggerla».
D’accordo. Però un volume, il primo, se l’era procurato. Forse era stato incuriosito o attratto da qualcosa. Forse gliene aveva parlato un dotto amico. «No. Non so neanche come fosse capitato in casa mia. Me l’avrà mandato l’editore, chissà». Quel che è certo è c’è rimasto poco. Ma è giusto condannare alla pena capitale un autore solo perché è monotono? In fondo Larsson piace anche per i suoi ideali. «Giusto. La monotonia non è il solo difetto. Ce ne sono altri. Intanto non cambia mai registro. Non c’è mai un a capo che ti sposti un po’ l’attenzione. Procede con terribile facilità, ed è in questo un tipico fenomeno di oggi: tutti infatti pensano che si possano scrivere romanzi, comporre musica, dipingere quadri sui muri come se niente fosse. Quella roba, tre volumi così grossi, poteva davvero andare avanti all’infinito». Eppure è stato particolarmente lodato per i personaggi. O per le trame considerate molto avvincenti. «Ma che avvincenti. La sua trama è costruita ad accumulazione. L’autore lascia andare, e il computer scrive per lui».
Non ci sarà una prova d’appello per la Regina dei castelli di carta. Ci tolga una curiosità, però. Che cosa sta leggendo? «Uno scrittore meraviglioso: Jean Echenoz». Meraviglioso davvero. Tradotto da Adelphi, e anni fa da Einaudi. «Io me lo sto godendo in francese. Una delle mie figlie mi manda i libri da Parigi. Mi ha anche detto che è molto stimato, riceve premi, insomma se ne parla benissimo. E non vende quasi niente». Una vera sfortuna. «Eh sì. Che ci vuol fare».