Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore, 8/1/2009, pag. 9, 8 gennaio 2009
Anche Nicolas Sarkozy, come il resto del mondo eccetto Israele e Hamas, si era fatto prendere dall’entusiasmo
Anche Nicolas Sarkozy, come il resto del mondo eccetto Israele e Hamas, si era fatto prendere dall’entusiasmo. Il presidente era «soddisfatto». Ma i nemici che combattono da 12 giorni, non hanno ancora accettato la proposta francese ed egiziana di cessate il fuoco. Hanno solo ringraziato per l’attenzione. «Vogliamo che abbia successo». E il ministero della Difesa israeliano ha inviato al Cairo Amos Gilad, consigliere politico di Ehud Barak. Ma la guerra continua. Terminata la breve tregua umanitaria di tre ore, concordata per far entrare ogni giorno nella Striscia degli aiuti umanitari e permettere ai civili di rifornirsi, ieri gli israeliani hanno ripreso la loro offensiva lungo le solite direttrici: a Sud per occupare la fascia di frontiera con l’Egitto, al centro per rafforzare l’assedio di Gaza City e a Nord a caccia di rampe e postazioni di Hamas. iniziata quella che gli israeliani definiscono "terza fase", probabilmente l’ultima dell’offensiva terrestre. Prima e dopo la tregua, anche il movimento islamico ha ripreso a lanciare i suoi razzi su Israele. L’ultimo bilancio fornito ieri è di 702 morti e più di 3mila feriti nella Striscia. Più di 200 le vittime civili. Nella notte fra martedì e mercoledì in Egitto, Sarkozy e Hosni Mubarak avevano elaborato un piano per un cessate il fuoco immediato a Gaza e la successiva ripresa della trattativa che dovrebbe portare alla tregua vera, quella illimitata nel tempo. Il documento è stato passato al Governo israeliano e all’Autorità palestinese di Abu Mazen, e inviato a New York. Il Consiglio di Sicurezza Onu potrebbe approvarlo questa mattina, anche se ieri sera le distanze erano ancora notevoli. «Il presidente è soddisfatto dell’accettazione israeliana e dell’Autorità palestinese». In realtà il piano franco-egiziano era stato approvato solo dai palestinesi. Ma da quelli "buoni" della Cisgiordania che non stanno combattendo. Anche se oggi è l’ultimo giorno del mandato presidenziale di Abu Mazen, ora a New York a sponsorizzare la risoluzione. Se torna a Ramallah a mani vuote la sua carriera politica è senza futuro. Da Hamas veniva solo silenzio. «Israele potrebbe accettare la proposta se cessa il fuoco da Gaza e se include misure per prevenire il riarmo di Hamas», ha finalmente precisato Mark Regev, il portavoce di Ehud Olmert, il premier. Il Governo israeliano non può accettare ora il piano franco-egiziano perché richiede un preliminare e immediato cessate il fuoco. I comandi militari hanno ancora bisogno di tempo. Poco più tardi ha parlato anche Hamas, attraverso uno dei suoi capi in esilio, Mussa Abu Marzuk: nessun dialogo sul cessate il fuoco permanente. Fino a che ci sarà occupazione israeliana, ci sarà resistenza. In serata però, secondo quanto riferiva il quotidiano israeliano Ynetnews, Ahmed Yusuf, portavoce del premier di Hamas, Ismail Haniyeh, ha dichiarato di ritenere possibile un cessate il fuoco nel giro di 48 ore. Le posizioni sono lontane. Ma non da impedire che fra pochi giorni la pressione internazionale si faccia insostenibile per i combattenti. A Israele bastano forse due o tre giorni per raggiungere i suoi obiettivi militari. Secondo i servizi israeliani Hamas sarebbe al collasso. I palestinesi combatterebbero in sacche isolate fra loro; con i centri di controllo bombardati e i capi politici nascosti per evitare di essere uccisi, il comando delle rampe dei razzi e delle postazioni sarebbe affidato a giovani miliziani. E comunque l’ala militare di Hamas, decisa a continuare la guerra fino alla fine, avrebbe preso il sopravvento su quella politica. Il piano franco-egiziano è ancora segreto. Chi lo ha visto spiega che alla frontiera di Gaza con l’Egitto è previsto il dispiegamento di una forza di controllo, forse internazionale, forse la polizia palestinese di Abu Mazen, che dovrà impedire il riarmo di Hamas. Per questo Israele punta a occupare il corridoio di Philadelphi lungo la frontiera, distruggere tutti i tunnel e tenere la posizione fino all’arrivo di una forza di controllo. Sulla città di Rafah e di Khan Younis, a ridosso della frontiera con l’Egitto, ieri gli israeliani hanno lanciato volantini ammonendo gli abitanti a lasciare le loro case entro questa mattina. La "terza fase" sta per essere lanciata anche a Sud. A parte tutte le questioni del disimpegno militare, i nodi insoluti del piano di pace sono due: uno formale e l’altro implicito, l’uno legato all’altro. La fine del boicottaggio israeliano, la riapertura dei passaggi di frontiera e la ricostruzione economica di Gaza: il problema pratico. Se Israele aprisse i passaggi e cessasse il boicottaggio economico, Hamas sconfitto militarmente potrebbe rivendicare una vittoria politica. Per questo gli islamici accettano la tregua solo se cessa «l’occupazione israeliana». Il problema implicito è Hamas. Europei, arabi moderati, americani la pensano come Israele. Nessuno vuole dare questo potere al movimento islamico. Ma Hamas c’è, e qualcuno deve parlare con loro. Trattare sarebbe tuttavia un riconoscimento implicito. Mentre incomincia il dibattito all’Onu, con l’accavallarsi di documenti e minacce di veto, il prossimo presidente Usa ha rotto il silenzio che si era imposto. Del conflitto arabo israeliano si occuperà "immediatamente" non appena si sarà insediato, il 20 gennaio.