Michele Calcaterra, Il Sole 24 Ore, 8/1/2009, 8 gennaio 2009
La settimana lavorativa al Santander non comincia il lunedì mattina ma la domenica alle cinque del pomeriggio
La settimana lavorativa al Santander non comincia il lunedì mattina ma la domenica alle cinque del pomeriggio. A quell’ora, infatti, il settantacinquenne presidente Emilio Botin, suole convocare i suoi più stretti collaboratori per esaminare l’agenda e le operazioni più interessanti nella "pipeline". E il più delle volte, è proprio a la cinco de la tarde, a mercati finanziari chiusi, che Botin prende le decisioni strategiche più importanti, come è stato ad esempio un mese fa, quando il banco decise di lanciare, per l’indomani, un aumento di capitale di oltre 7 miliardi di euro in modo da rafforzare la sua consistenza patrimoniale. Indiscrezioni di mercato aggiungono che le ultime riunioni, nel quartier generale di Boadilla del Monte a una ventina di chilometri da Madrid, sono state particolarmente agitate a causa del coinvolgimento del banco, dapprima nel fallimento di Lehman Brothers e successivamente nello scandolo Madoff. Quanto basta per scalfire l’immagine e l’affidabilità ormai centenaria del Santander, anche se le cifre di cui si parla (qualche miliardo di euro come massimo) sono irrisorie se si considera che il banco è tra i più importanti istituti di credito a livello internazionale e comunque il primo al mondo in quanto a sportelli. Quello che Emilio Botin non riesce proprio a digerire (e per questo ha richiamato all’ordine i suoi dirigenti) è che dopo aver predicato per anni una politica prudente e investimenti in prodotti semplici e comprensibili al grande pubblico, il Santander (con società ad esso collegate come Banif o Optimal) abbia potuto scivolare su terreni insidiosi, altamente speculativi che sono contrari alla filosofia di fondo del banco di «gestire con lealtà, il denaro che la gente ti affida». E anche, che su questi terreni, siano scivolati suo figlio Javier e suo genero Guillermo Morenes (marito di Ana Patricia Botin, presidente del Banesto), fondatori e principali soci di M&B Capital advisers, che rischia di perdere qualcosa come circa 150 milioni di euro nella vicenda Madoff. Il clima che si respira all’interno del Santander è dunque teso, al termine di un esercizio 2008 che è stato ricco di importanti acquisizioni, ma che non avrebbe dato i risultati sperati. Il tutto in un contesto economico-finanziario generale che non offre sufficiente visibilità nel medio-lungo periodo. Secondo le indiscrezioni riportate da alcuni organi di strampa spagnoli, il banco chiuderà infatti l’esercizio al 31 dicembre scorso con un utile attorno ai 9,5-9,6 miliardi di euro, appena al di sotto di quei 10 miliardi stimati nei mesi scorsi da Botin. Intendiamoci, si tratta comunque di un gran bel traguardo, ma comunque inferiore alle aspettative. Tant’è vero che anche questo errore di previsione, ha contribuito ad offuscare l’immagine cristallina del Santander, quella di un banco infallibile, che non commette mai errori. Del resto, come è normale, qualche intoppo di percorso c’è stato. Si veda ad esempio nel recente passato la "campagna d’Italia", conclusasi sì con una rotonda plusvalenza su Antonveneta (ceduta al Monte dei Paschi), ma non senza aver perso tempo e soprattutto l’opportunità di conquistare dapprima Bnl e successivamente il San Paolo di Torino. La strategia di espansione internazionale del Santander ha comunque finora funzionato bene. Specie negli ultimi mesi, quando la crisi del settore creditizio ha iniziato a mietere le prime vittime. il caso, ad esempio dell’acquisto del 100% di Sovereign negli Stati Uniti (dopo assere stato a lungo al 25%) avvenuto a prezzi molto convenienti. Mentre la crescita nel Regno Unito, dapprima con Abbey (che però nel frattempo ha dovuto tagliare l’8% degli occupati) e più recentemente con Alliance & Licester e Bradford & Bingley è stata un successo.