Andrea Coppola e Gustavo Piga, Il Sole 24 Ore, 8/1/2009, 8 gennaio 2009
In occasione del lancio del piano per la ripresa dell’Unione Europea, il presidente José Manuel Barroso ha posto l’accento su due temi di grande importanza per fronteggiare la crisi corrente: l’eccezionalità della situazione e la necessità di coordinamento
In occasione del lancio del piano per la ripresa dell’Unione Europea, il presidente José Manuel Barroso ha posto l’accento su due temi di grande importanza per fronteggiare la crisi corrente: l’eccezionalità della situazione e la necessità di coordinamento. Il presidente della Commissione europea ha invocato «risposte senza precedenti per reagire a una crisi senza precedenti». Il piano presentato vale circa l’1,5% del Pil (europeo) ed è stato accompagnato dalle dichiarazioni del Commissario Joaquin Almunia che ha auspicato una maggiore flessibilità nell’applicazione del patto di stabilità. Emerge infatti sempre più prepotentemente un consenso globale non solo sulla necessità di una manovra quantitativamente significativa ma anche sulle modalità del suo finanziamento: in periodi di crisi economica le risorse necessarie per tali interventi vanno ottenute tramite deficit, posponendo la tassazione a quando gli individui possono permettersene il pagamento. Ne consegue evidentemente come vada messo da conto, a fronte di questa crisi, un incremento dei debiti pubblici dei governi e dunque della relativa spesa per interessi. Una maggiore spesa per interessi ridurrebbe tuttavia lo spazio disponibile per una manovra quantitativamente rilevante di finanza pubblica (più spesa e/o meno tasse). La conseguenza di ciò? Rischiamo di assistere in tutta l’area dell’euro ad una crescente competizione tra gestori del debito dei governi sovrani per accaparrarsi nicchie di mercato, al fine di ridurre il peso della spesa per interessi: «Ti sto offrendo uno strumento con caratteristiche più idonee al tuo portafoglio di quelle che ti offre il governo francese» è quello che comincerebbe a mormorare ben presto il gestore del debito tedesco all’investitore globale che deve decidere in quale Paese investire i suoi fondi. E analogamente il gestore del debito francese per sottrarre mercato al collega tedesco. La struttura mondiale della mobilissima offerta di capitali fomenta questa competizione tra governi nazionali. Ma ormai sappiamo bene come finiscono queste competizioni tra Governi. La Grande Depressione ci ha fornito ad esempio una chiara lezione dei costi legati alla mancanza di coordinamento tra Stati che si trovano costretti ad affrontare una situazione di recessione. L’attuazione di politiche di tipo beggar-thy-neighbour, che sostengono l’economia domestica a scapito di altri Stati innesca la reazione speculare dei Paesi danneggiati e, quindi, un meccanismo dannoso che può rendere più grave e più lunga la crisi esistente, inasprendo l’impatto sui sistemi economici interessati. Da qui il giusto richiamo di Barroso all’esigenza di coordinamento. Nella gestione del debito, in particolare, se Francia e Germania finiscono per inondare il mercato di strumenti simili nello stesso periodo finiscono per pagare un costo più alto ambedue. E il rischio di una tale situazione non è piccolo. Sebbene infatti siano passati dieci anni dall’introduzione dell’euro e dall’adozione di una politica monetaria comune, la gestione del debito in Europa è ancora fortemente decentralizzata. Questo scenario deve essere aggiornato sulla base della situazione attuale e delle necessità emerse negli ultimi mesi. In un nostro studio, recentemente pubblicato nella collana di lavori del ministero dell’Economia e delle Finanze, abbiamo utilizzato i calendari di emissione del debito pubblico pubblicati dai Paesi dell’area euro per studiare le diverse strategie di emissione del passato ed individuare eventuali comportamenti di coordinamento e/o competizione tra gli stessi Paesi. L’analisi empirica proposta mostra come il prezzo dei titoli emessi sia influenzato in maniera significativa quando più Stati emettono contemporaneamente titoli con caratteristiche simili, come la scadenza. Sulla base delle conclusioni dello studio, un maggiore coordinamento tra gli emittenti sovrani sulla frequenza e sulle date delle emissioni ridurrebbe i costi di finanziamento per gli Stati membri. Queste conclusioni richiamano inevitabilmente la proposta di creare un’Agenzia europea di gestione del debito, responsabile di coordinare il lavoro dei singoli gestori nazionali. Una proposta che dal 1999 è emersa a più riprese ma senza mai guadagnare sufficiente consenso e supporto, soprattutto a causa della complessità legale di immaginare l’istituzione di un unico emittente. Tuttavia assolutamente praticabile sarebbe l’ipotesi della creazione di un organo effettivamente dotato di poteri esecutivi riguardo al coordinamento delle emissioni, alla stregua di quello che accade in Germania tra Governo centrale e Länder, capace di vincolare i singoli governi dell’area dell’euro ad alcune decisioni complessivamente ottimali. Non c’è dubbio che l’attuale allargamento degli spread sui tassi dei governi dell’area dell’euro indica un maggiore pessimismo sulla capacità di tali governi di ripagare il loro debito e dunque inevitabilmente sul futuro dell’area valutaria comune. Ma ciò può essere dovuto non tanto all’aspettativa di debiti crescenti – ipotesi ripetiamo non da condannare a priori in una recessione di questa portata – quanto al fatto che i governi europei non sappiano creare le giuste aspettative sulle prospettive di crescita del Continente e sull’esistenza di una volontà politica comune di venire incontro a tali aspettative con decisione. Insomma del rapporto debito pubblico-Pil potrebbe preoccupare non tanto il numeratore, il debito, quanto il denominatore, il Pil, della frazione. Un segnale di forte coordinamento nella gestione del debito, una risposta senza precedenti a una crisi senza precedenti, costituirebbe quel segnale d’innovazione politica che potrebbe avviare il "circolo virtuoso del debito", in cui a maggiori, necessari, debiti pubblici fanno seguito minori e non maggiori spread, maggiore spazio per manovre fiscali rilevanti, maggiore crescita, e, dunque, maggiore stabilità.