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 2009  gennaio 08 Giovedì calendario

GATTUSO GRANDE, LIPPI E’ L’ELEGANZA MOURINHO MAESTRO DI MARKETING


La sua passione per lo sport è nata ai tempi dell’Inter di Roberto Boninsegna, quando Domenico Dolce non era ancora la metà di una delle griffe più famose del mondo. «Me lo ricordo perfettamente, Bonimba, potrei descriverlo con i capelli un po’ cotonati, il numero 9 sulla schiena e i suoi gol in acrobazia». Stefano Gabbana, l’altra metà, allo stadio non ci andava («ci sono stato due volte in 46 anni»), ma di sport ne ha praticati parecchi: «Più o meno tutti, per 4 anni ho anche tirato di boxe. Tranne uno: credo di non aver mai tirato un calcio a un pallone in vita mia». «Si vede che abitavi in una zona lussuosa» replica sorridendo il socio.
Ma pur senza tirare troppi calci a un pallone («io invece ho giocato, ma ero scarso, stavo in difesa il più esterno possibile per non fare danni») Dolce e, anzi «&», Gabbana hanno affiancato un po’ alla volta il loro impero allo sport. Prima, da veri artigiani, prendendo le misure («abbiamo vestito l’Inter di Bianchi, ma la Gialappa’s ci prendeva in giro dicendo che i giocatori erano ingessati perché la divisa, appunto, era gessata »); poi, scoprendo il piacere della vittoria con il Milan europeo e intercontinentale; infine, sollevando la Coppa del mondo con la nazionale azzurra. «Diciamolo, abbiamo avuto un colpo di culo. Abbiamo firmato il contratto con la Federcalcio nel 2006 e pochi mesi dopo abbiamo vinto il Mondiale. E siamo felici che sia tornato Lippi: con Capello, è l’allenatore più elegante d’Italia». E Mourinho? «Ah, lui è un maestro di marketing! Ma non è detto che essere sempre così al centro dell’attenzione sia un bene».
Perché il pallone? «Siamo stati i primi, tra gli stilisti, a capire che il calcio parla un linguaggio trasversale. una passione popolare. Allo stadio ci trovi l’avvocato come il ragioniere, l’operaio come l’onorevole, tutti uniti dal tifo». A proposito di tifo, se Dolce parla di Boninsegna significa che è interista... «Ero interista». Come «ero»? Non si dice che si può cambiare partner, religione, credo politico ma mai la squadra del cuore? «Allora le spiego una cosa. Sono stato alla cena di Natale del Milan e ho visto Rivera. Rivera è il Milan. Come Boninsegna è l’Inter, come Mazzola è l’Inter. Ora invece i calciatori non hanno fede, vanno dove li pagano di più. E se il calciomercato è marketing, se viviamo in un epoca di marketing, allora facciamo tutti marchette». Quindi? «Quindi sono diventato milanista». «Lavorando con il Milan ci siamo innamorati di questa squadra»: Gabbana non tifa ma simpatizza, e in fondo lui è un portafortuna. «Una delle due partite che ho visto è il derby deciso dal gol di Ronaldinho». Milanisti si diventa. «Questa squadra, che tiene giocatori anche non più giovanissimi, dà un senso di famiglia», spiega Dolce. « molto italiana, tra virgolette», conferma Gabbana. «E poi con loro si lavora bene». « capitato anche che lo staff rossonero non fosse convinto delle nostre creazioni. A quel punto però interveniva Galliani: se gli stilisti vogliono così, diceva, vuol dire che va bene e si fa così. Ed è sempre andata bene». «Il Milan ha aperto la strada. Anche noi siamo cresciuti con la squadra. Abbiamo visto che in tv certi colori cambiano, e ora prima di creare le divise facciamo anche le prove video. Dietro di noi sono arrivate altre etichette, diciamo pure che ci hanno copiato. E così ora si può osare di più».
Per la serie: come trasformare una squadra di calcio in un gruppo di indossatori. L’idea venne per la prima volta con il libro «Calcio»: era il 2003, Dolce & Gabbana giravano per l’Italia con la loro valigetta piena di vestiti griffati cercando di convincere i giocatori a posare per beneficenza per il fotografo Mariano Vivanco: «Mica facile. Avevamo voglia di fare, avevamo intuito il cambiamento dei calciatori nell’immaginario collettivo. Ma convincerli non è stato semplice: alcuni erano diffidenti, avevano paura di essere presi in giro dallo spogliatoio. Ci sono quelli più ”’truzzi’’, che nel gruppo si vergognavano ma da soli erano un’altra cosa». «Gattuso, per esempio: all’inizio era molto restio, poi si quando è sbloccato è andato alla grande». «E poi ci sono le mogli...». Le mogli? «Sì, le mogli gelose dei mariti calciatori. Quando chiedevamo per le campagne underwear, i giocatori rispondevano ”’sì, però... mia moglie non vuole... è un po’ gelosa...’’. Ma come gelosa? Dovresti essere orgogliosa del fatto che tuo marito piace. Te lo sei sposata tu, bello e calciatore, no?». «Eh, mica tutte sono come Victoria...».
Ovvero Victoria Adams in Beckham. La moglie dell’icona calcistica più icona che c’è. Nonché grande amico dei due. Gabbana: «Abbiamo conosciuto prima lui di lei». Dolce: «Alla sfilata in cui c’era anche Gisele, giusto?». Gabbana: «Mi pare, Victoria cantava ancora nelle Spice». Dolce: «A lui piacevano le nostre creazioni e ha voluto conoscerci. E da cosa è nata cosa. Ci chiedeva di fare acquisti con la moglie nel-l’atelier di Bond Street quando era chiuso. E poi voleva le nostre novità». Gabbana: «E richiesta dopo richiesta, ha vestito Dolce&Gabbana senza mai essere nostro testimonial, ma solo nostro amico». Dolce: «Ci forniva la sua pseudoagenda, e noi gli spedivamo i capi che poi indossava». Gabbana: « sempre stato attentissimo al look, come lui c’è solo Madonna». Dolce: «Tutti i calciatori gli devono molto, lui ha cambiato faccia al mondo dello sport. Ha legittimato molte cose». Ora c’è Cristiano Ronaldo che si candida a prenderne il posto, anche mediatico. «...ma non è Beckham ». «Vip bisogna esserlo dentro. Dipende anche dalla moglie, dalla famiglia, da chi ti sta dietro. Devi averlo nel Dna». E a chi dice che è più bello come modello che bravo come calciatore, cosa rispondete? «Mah, quando ci dicono che la nostra amica Madonna non sa cantare, rispondiamo ”’ti chiami Madonna?’’. E a chi dice che David vive in una prigione dorata, noi rispondiamo che si diverte un bel po’».
Il presente è il rugby, con una campagna che riprende quella dei campioni del mondo del pallone, e un tuffo nel beach soccer. Il futuro? una maglia rosa, quella del Giro del centenario: «Il ciclismo è un’altra passione popolare e trasversale, come il calcio. Non lo conoscevamo, ne abbiamo preso coscienza». Però sui pedali non c’è un Beckham... «Sì, ma occhio a Ivan Basso». Un testimonial tira l’altro.