Uno spiraglio per la tregua con Hamas Si tratta sul piano Sarkozy-Mubarak di Francesco Battistini, Corriere della sera, 8/1/2009, 8 gennaio 2009
UNO SPIRAGLIO PER LA TREGUA CON HAMAS SI TRATTA SUL PIANO SARKOZY-MUBARACK
La tregua non esclude la guerra. La diplomazia dei paradossi, o «da circo delle pulci» per dirla con le parole un po’ sprezzanti dell’ex ministro tedesco Joschka Fischer, apre finestre e chiude ponti levatoi: si brinda a Parigi per il successo della missione di Nicolas Sarkozy che, atterrando sei volte in cinque capitali, in meno di 48 ore porta a casa una specie d’accordo che piace a tutti meno, forse, ai diretti interessati; si decide a Gerusalemme, al gabinetto per la Sicurezza nazionale, che le operazioni militari devono andare avanti, nonostante le trattative e la sospensione di tre ore. Si entra nella terza fase dell’operazione Piombo Fuso, anzi, e d’ora in poi le forze armate avranno carta bianca e potranno rastrellare casa per casa dentro Gaza City.
Se vuoi la guerra, prepara la pace. «Vediamo con favore gli sforzi internazionali», è l’unica rassicurazione del premier israeliano, Ehud Olmert, e grazie «per gli sforzi che promuovano la fine delle attività terroristiche e del contrabbando di armi».
Sui princìpi, niente da dire: le perplessità nascono se si tratta di «tradurre quei princìpi in atti pratici». Israele non dice no, ma nemmeno sì. Hamas non dice sì, ma neppure no. E nel deserto, già questa proposta di tregua franco-egiziana appare un miraggio. C’è l’appoggio americano e, per quel che conta, pure dell’Autorità palestinese di Abu Mazen: «Il grande successo del presidente francese’ dice un diplomatico europeo a Gerusalemme – è d’aver buttato il cuore oltre l’ostacolo. Prima che arrivi Obama, ha lanciato un messaggio stile Obama: si può fare. Ha messo a frutto la sua semina mediorientale e sfruttato il suo ruolo di copresidente dell’Unione per il Mediterraneo, assieme a Mubarak. S’è portato dietro Javier Solana, a far capire che la troika Ue guidata dal governo ceco non rappresentava quasi nulla. Un bel colpo per lui. Un colpo basso per tutti noi».
Oggi al Cairo arrivano i collaboratori più stretti di Olmert e del ministro della Difesa, Ehud Barak: sono Shlomo Turjeman e Amos Gilad, hanno un mandato limitato all’«esplorazione», ma comunque siederanno sugli stessi divani che hanno ospitato fino a ieri gl’inviati di Hamas e precederanno, sabato, l’incontro di Mubarak con Abu Mazen. Il presidente egiziano chiederà una sospensione della guerra d’almeno 48 ore e presenterà i punti principali d’un eventuale accordo, da sottoporre poi al governo israeliano. L’idea di fondo rimane quella di non umiliare troppo Hamas e, contemporaneamente, di non permetterle di cantar vittoria davanti al suo popolo. Secondo qualche indiscrezione, le misure elencate da Mubarak e da Sarkozy riguarderebbero soprattutto lo stop alla via dei razzi, quella che dal Sudan attraversa l’Egitto e porta i Qassam fin dentro Gaza, attraverso il valico di Rafah. Per raggiungere questo risultato, servirebbero un potenziamento della «base d’ascolto» nel Negev, un monitoraggio satellitare della Philadelphi Road e dei mille tunnel che la sottopassano, un servizio d’intelligence coordinato con l’Egitto. Una parte della bozza, tutta da discutere, parlerebbe d’un eventuale rilascio di prigionieri di Hamas, in cambio della liberazione di Gilad Shalit. Del soldato israeliano ostaggio a Gaza, ora con passaporto anche francese, Sarkozy è andato a parlare in Siria con Assad: Damasco è un luogo chiave di questa pace, il contatto anche con l’Iran e la Russia, e il leader siriano ha promesso pressioni su Khaled Meshaal (il capo Hamas che vive lì, sotto protezione) e di chiedere «prove in vita » del caporale rapito due anni e mezzo fa.
Perché la parola di Meshaal è determinante e tutto questo lavorìo diplomatico, sinora, fa i conti senza l’oste. Ovvero Hamas. Che già storce il naso e non vede «le condizioni minime», nella bozza Mubarak-Sarkozy: non si parla di ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, per esempio. «Siamo disposti a esaminare proposte che portino all’apertura totale dei valichi e alla fine del nostro isolamento», ma nulla di più. E poi, si chiede il movimento islamico: perché bloccarci l’afflusso di armi per via diplomatica, se non ci sono ancora riusciti per via militare?