Il Sole 24 Ore, 7/1/2009, 7 gennaio 2009
DUE STRADE PER AGGIRARE KIEV
Il destino dell’Ucraina è nel suo nome. Significa "al confine", e racchiude il dramma di un Paese che vorrebbe allontanarsi dalla Russia, ma che dall’Europa è sempre stato considerato ai margini: paradossalmente, dal momento che è il suo Paese più esteso. In termini energetici, questo ruolo di ponte è fonte certa di problemi, come stiamo testimoniando, ma anche un punto di forza. In quella che rischia sempre più di assomigliare a una versione economica dell’offensiva contro la Georgia dell’estate scorsa, ieri Mosca ha improvvisamente stretto il cerchio attorno a Kiev, trascinando l’Europa nel confronto. Ma mentre la Ue fa il conto del gas che le manca, e di quello che Mosca cerca di compensare attraverso altre strade, è chiaro che per il momento dell’Ucraina non si può fare a meno.
Dall’Ucraina, incastonata tra la Russia e, sul fronte Ue, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania, passa l’80% del gas russo esportato in Europa. I Paesi che non hanno alternative alla rotta ucraina, nei Balcani, in Slovacchia o Bulgaria e, attraverso di lei, Grecia e Macedonia, sono quelli maggiormente in pericolo. La Turchia, che pure si è vista bloccare completamente i rifornimenti da Kiev, può però contare su Blue Stream, il gasdotto costruito da Eni e Gazprom sotto il Mar Nero, mentre arriva un’offerta di aiuto: dall’Iran, che fornisce alla Turchia un terzo del fabbisogno di gas. «Potremmo aumentare i flussi» ha proposto una fonte diplomatica iraniana ad Ankara.
Le vie alternative attivate da Mosca stanno aiutando la Polonia e la Germania. Ai polacchi arriva più gas dalla Bielorussia, attraverso il sistema Beltranzgas e il gasdotto Yamal-Europa, che parte dall’Artico russo, una delle regioni su cui Gazprom sta concentrando gli investimenti per il futuro. Ma dalla Bielorussia passa solo il 20% del gas russo inviato in Europa: «Non può essere un’alternativa sufficiente» ammette il vicepresidente di Gazprom, Aleksandr Medvedev.
I due grandi progetti su cui punta il monopolio russo per evitare il transito attraverso l’Ucraina sono Nord Stream e South Stream, lanciati verso i due grandi alleati energetici di Mosca, Germania e Italia. Il primo, di cui è stata avviata la costruzione nel tratto russo su terra, porterà il gas sotto il Mar Baltico, da Vyborg direttamente in Germania a Greifswald. Tralasciando Lettonia, Lituania e Polonia, che speravano di beneficiare dei diritti di transito: non è un caso che siano tutti Paesi dalle relazioni problematiche con la Russia. Protestano anche i Paesi scandinavi, preoccupati per l’impatto ambientale sul Baltico: ma Nord Stream è la dimostrazione di come la Russia sia riuscita a dividere gli europei, puntando su accordi bilaterali con gli Stati chiave e reclutando per la propria causa il grande business oltre al mondo della politica: il presidente del consorzio Nord Stream è l’ex cancelliere socialdemocratco, Gerhard Schröder.
Divide et impera: «Siamo stufi di trattare con i burocrati di Bruxelles - sintetizzava tempo fa Konstantin Kosachev, responsabile della Commissione parlamentare Affari esteri - in Germania, Italia e Francia otteniamo molto di più». Anche South Stream, nelle mani di un consorzio paritario tra Eni e Gazprom, è considerato un modo per insidiare la politica energetica comune europea.
Il gasdotto dovrà rifornire il fianco Sud, in aperta concorrenza con Nabucco, un progetto studiato dalla Ue appositamente per lasciar da parte la Russia e ridurre la dipendenza dell’Europa. Nabucco dovrebbe arrivare in Italia dalla Turchia attraverso i Balcani: paradossalmente attraverso gli stessi Paesi che aderiscono a South Stream. L’Azerbaijan, che potrebbe rifornirlo, ha però raffreddato il proprio interesse dopo la guerra in Georgia. Quanto a Nord Stream e South Stream, una volta completati non arriveranno comunque a uguagliare la capacità del sistema di esportazione ucraino. Se Mosca vuole bypassare l’Ucraina, non è ancora pronta a farlo.