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 2009  gennaio 07 Mercoledì calendario

CORRUZIONE DA SISTEMI ELETTORALI


L’ondata di inchieste giudiziarie su governi regionali e locali in molte parti d’Italia, dalla Toscana all’Abruzzo, alla Campania, alla Basilicata e alla Calabria, ha suscitato un giusto allarme e riapre la cosiddetta "questione morale" nel nostro Paese a più di quindici anni dall’esplosione di "mani pulite" nel biennio ’92-94.
"Questione morale" che per la verità, per molteplici ragioni, non era mai stata interamente archiviata e che quasi sempre riemergeva nel dibattito politico in varie occasioni, quasi a significare un’inesorabile caduta dei valori di etica pubblica, una decadenza del costume, una degenerazione dello spirito pubblico, un impoverimento della politica, come ha recentemente sancito il Presidente della Repubblica, che condannava l’Italia a una sorte di invincibile minorità.
La corruzione in politica - è ben noto - non è un’esclusività italiana. Anche i maggiori Paesi democratici non sono affatto immuni da questo male rovinoso, come dimostrano impressionanti episodi recenti anche negli Stati Uniti. Ma negli altri Paesi sembra ci siano anticorpi efficaci che contengono il fenomeno entro limiti fisiologici; anticorpi politici e istituzionali, che nel nostro Paese sembrano assenti. Per cui la magistratura diviene l’unico esclusivo argine, la sola estrema difesa contro questa iattura, con la conseguenza dell’apertura in permanenza di un conflitto tra politica e ordine giudiziario, che è di per sé motivo aggravante della precaria situazione istituzionale e politica complessiva del Paese.
Non sono mancate ricostruzioni storiche delle radici di questo male nazionale che richiamano le remote vicende della formazione dello Stato unitario. Ma andare troppo lontano nel tempo non ci aiuta a comprendere il malessere attuale, e men che mai il modo per combatterlo o almeno contrastarlo.
Se è certo che la partitocrazia della Prima Repubblica – e cioè l’invadenza partitica nella vita amministrativa e la corruzione, che sosteneva largamente il finanziamento della politica, avevano nella pluriennale impotenza a creare una vera alternativa di governo un fattore propulsivo non secondario della degenerazione esplosa nel biennio ’92-94 – con l’importante conquista della fine della conventio ad excludendum e con la realizzazione della democrazia dell’alternanza, da ormai quindici anni quel dato d’immobilismo funesto nella dialettica politica non esiste più. E infatti il "tangentismo partitico" è sostanzialmente finito; ma la corruzione in altre forme più insidiose è rimasta.
Quale ne è la vera ragione? La degenerazione dello spirito pubblico, la perdita dei valori etici, la perdita del senso dell’interesse comune hanno un’origine precisa: l’inadeguatezza delle forze politiche, dei partiti che si contendono la guida del Paese. Sono i partiti che trasmettono alla società il senso del comune destino, i valori che trascendono gli interessi particolari. Questo significa "concorrere" alla politica del nazionale.
Un partito degno di questo nome ha ideali chiari e una visione del futuro, un progetto politico al servizio degli ideali, un metodo rigoroso di selezione della classe dirigente. Dalla scomparsa dei partiti del primo cinquantennio repubblicano, dalla fine della Repubblica proporzionalista, il vero fallimento è stata l’incapacità di creare forze politiche con queste caratteristiche, adeguate alla nuova condizione istituzionale, sociale, politica, del Paese.
La nuova condizione istituzionale è stata delineata dal referendum elettorale, che intendeva seppellire il partitismo proporzionalistico. Ma l’assetto istituzionale complessivo che si è costituito non ha seguito questa evoluzione e non ha favorito la costruzione di forze politiche nazionali modernamente strutturate. Si è creata una sistemazione dell’assetto istituzionale complessiva profondamente contraddittoria, proprio quando si delineava una nuova forma di Stato a forte autonomia di tipo federalistico.
Mentre per la forma di governo nazionale la legge elettorale al 75% maggioritario, con plurality system, in certo modo rafforzava il modello di democrazia parlamentare, per la governance locale, regionale e provinciale si procedeva in senso opposto. Si escogitava una forma di governo originale, di semipresidenzialismo spurio, con elezione diretta popolare dei vertici e con elezioni sostanzialmente proporzionali dei consigli. Si puntava alla stabilità dei governi locali non operando sulla legge elettorale, ma sulla forma di governo. A una spinta politicamente aggregante per la scelta dei vertici si contrapponeva una spinta disaggregante al livello del Consiglio, con una molteplicità di sistemi elettorali tutti proporzionali.
Si sono create così le condizioni ideali per i conflitti e per il proliferare della frammentazione politica, in quanto i presidenti di Regioni, i sindaci, i presidenti di Province eletti direttamente dal popolo possono essere sfiduciati dai Consigli che hanno poteri incerti ma sono dotati di un’arma formidabile nelle varie componenti partitiche portatrici di interessi particolaristici.
In queste condizioni non può destare meraviglia che le difficoltà maggiori, le criticità, le deviazioni abbiano colpito il centro-sinistra, la coalizione che stravinse le ultime elezioni regionali e amministrative (solo tre Regioni andarono alla destra: Lombardia, Veneto e Sicilia) e il Mezzogiorno ove il cosiddetto capitale sociale è veramente esiguo.
Le architetture istituzionali di un Paese unitario debbano avere un’intima coerenza: se il Governo nazionale è espressione di una democrazia parlamentare, pur con tutte le carenze e i difetti di una pessima legge elettorale, questo modello deve essere riprodotto di norma al livello regionale e locale. Mettere insieme la democrazia parlamentare al centro con quella semipresidenziale e presidenziale in periferia significa rendere assai difficile una strutturazione efficace delle forze politiche, che modellano per loro natura sull’assetto istituzionale il modo di selezione della classe dirigente. I partiti delle democrazie parlamentari sono anche organizzativamente assai diversi da quelli dei sistemi presidenziali.
Mi rendo conto di porre in primo piano una questione assai complessa e spinosa, ma credo che sia alla lunga ineludibile, se si vuole rendere possibile la costruzione di forze politiche capaci di vincere la crescente sfiducia rivelata dall’allarmante astensionismo emerso dalle ultime elezioni e le pulsioni corruttrici presenti nel sistema. Noto con soddisfazione che anche un grande esperto dei governi locali, Luciano Vandelli, indica la necessità di una riconsiderazione della governance delle Regioni sull’ultimo numero di «Amministrazione civile».
La costruzione di partiti politici degni di questo nome è il prius: è questo il salto in avanti della cultura politica che è indispensabile. questo il nucleo politico della "questione morale". E solo un assetto istituzionale coerente può aiutare a raggiungere questo obiettivo: un assetto istituzionale coerente che è irrealizzabile senza un vero, nuovo spirito costituente comune che animi la maggioranza e l’opposizione.