Ma solo una tregua indebolirebbe Hamas di Guido Rampoldi, la Repubblica, 8/1/2009, 8 gennaio 2009
MA SOLO UNA TREGUA INDEBOLIREBBE HAMAS
E dopo? Il bandolo della crisi non è tanto l´accordo tecnico che sancirà il cessate-il-fuoco, grossomodo già intuibile, ma il seguito. Chi governerà sulle rovine di Gaza? Perfino se nelle prossime ore Israele lanciasse il suo attacco finale all´interno delle città, finita la strage, lavato il sangue e spenti i roghi resterebbero in circolazione migliaia di miliziani delle "Brigate Qassam" o della "Forza esecutiva", incluse le unità di élite, che Hamas finora ha tenuto nelle retrovie. A quelli si aggiungerebbero le migliaia che correrebbero ad arruolarsi per vendicare un figlio, un fratello, una madre. Chi li terrebbe a bada? Non Israele, che non vuole restare nella Striscia per nessuna ragione. Non l´Egitto, cui gli israeliani hanno cercato di rifilare quella terra problematica («Più volte», confida un diplomatico cairota, e forse anche di recente) con il pretesto che quarant´anni fa era sotto amministrazione egiziana. Potrebbero tentare una Forza internazionale di pace, ma alle condizioni di Hamas e nel rispetto del suo contropotere; e in seguito i palestinesi di Abu Mazen, con i quali però Hamas ormai ha in comune soprattutto una faida spietata. In ogni caso in futuro i fondamentalisti saranno ancora a Gaza, con i razzi sepolti nella sabbia e la volontà di vendetta nascosta nel cuore.
Insomma non è inverosimile il rischio che Gaza diventi peggio di quel che era fino a ieri. E peggio di Gaza c´è solo la Somalia, una mischia permanente, un´anarchia irrisolvibile. Una nazione collassata dove al-Qaeda oggi conta decine tra moschee e campi di addestramento.
Che liquidare Hamas fosse o no il progetto israeliano, l´organizzazione finora ha parato i colpi che potevano esserle mortali. Secondo il rapporto di un attendibile centro-studi, l´Icg, l´attacco non ha colto di sorpresa l´organizzazione, i cui vertici erano quasi tutti alla macchia già tre giorni prima dei bombardamenti. Però Hamas non si attendeva un´azione di quella radicalità, soprattutto che l´aviazione israeliana colpisse non solo tutti i ministeri ma anche le stazioni di polizia, nella presunzione che poliziotti siano anche comandanti delle "Brigate Qassam".
Secondo l´Icg, gli israeliani avevano informazioni «notevolmente esatte» su moschee e case dove erano custoditi arsenali. Come in Libano, nei giorni successivi la loro aviazione è tornata a colpire più volte le stesse rovine, perché non aveva altri bersagli a disposizione o per ammazzare anche i soccorritori. Se Israele sperava che i palestinesi si ribellassero ad un regime non più popolare, e i militanti di Fatah vendicassero le torture e i lutti subiti nel passato recente, l´illusione è durata solo alcuni giorni.
All´inizio si potevano ascoltare palestinesi maledire Hamas in pubblico. Poi l´umore è cambiato. Hamas ha gambizzato un dissidente che aveva festeggiato i bombardamenti distribuendo cioccolatini, freddato un ingenuo che ad un funerale aveva sventolato una bandiera di Fatah, trucidate sei presunte spie evase dal carcere bombardato. Ma soprattutto ha beneficiato, con il passare dei giorni, del dolore e dell´ira della popolazione. In balia del nemico, i palestinesi che vedono morire i loro figli inevitabilmente si sentono traditi dagli arabi, dagli europei, dall´Autorità palestinese, da tutti tranne da chi è dalla loro parte, eppure sta giocando con la loro vita: Hamas.
La battaglia di Gaza sarà per Israele uno di quei successi che un esperto del genere, George W. Bush, una volta chiamò «una vittoria catastrofica»? Il rischio è alto, conclude il rapporto dell´Icg. E in questo caso il massacro di tanti bambini sarebbe peggio di un crimine, sarebbe una miserabile idiozia.
L´eventualità è così ripugnante che conviene sperare nei vantaggi ipotetici dischiusi da un cessate-il-fuoco. Forse il Likud non vincerebbe le elezioni di febbraio, e di conseguenza non potrebbe seppellire definitivamente il cosiddetto processo di pace. Hamas verrebbe all´incirca ingabbiata nella Striscia. Il confine poroso da cui oggi riceve da Teheran dollari e razzi verrebbe sigillato con un triplice dispositivo: di qua la polizia di frontiera di Abu Mazen, di là gli egiziani, nel mezzo una Forza multinazionale composta essenzialmente da turchi e francesi, probabilmente con una presenza italiana.
Interrotto quel flusso, Hamas uscirebbe dalla battaglia di Gaza incattivita ma indebolita. Prenderebbe il sopravvento l´ala terrorista, quella che in novembre riprese a sparare razzi su Israele probabilmente per sabotare la disponibilità negoziale della fazione pragmatica. I suoi sceicchi non avrebbero difficoltà a trovare, tra i sopravvissuti, orfani da trasformare in kamikaze, e la sua polizia segreta continuerebbe a liquidare oppositori, però spacciandoli per collaborazionisti. Ma l´organizzazione vedrebbe la propria capacità di ricatto ridotta da un arsenale di razzi non più illimitato e non più ricostituibile, in teoria. Col tempo, forse, verrebbe ridotta ad entità marginale e riassorbita in un nuovo patto di unità palestinese. Tutto questo al prezzo di un massacro di civili, di uno sprigionamento d´odio che non mancherà di moltiplicare i lutti, e per l´Europa, di una terrificante perdita di credibilità.
Gli arabi che guardavano all´Unione con fiducia ora ci considerano inconsistenti e ipocriti. Alti ufficiali israeliani liquidano gli incontri con emissari della Ue come «foto-opportunità», volendo intendere una perdita di tempo. E la cosa più straordinaria è che tra qualche mese Teheran avrebbe venduto Hamas senza battere di ciglio, nel contesto di Grand Bargain con Washington che prima o poi Obama accetterà di discutere.