Vendere magliette a Teheran: un caso politico di Renzo Guolo,la Repubblica, 7/1/2009, pag. 29, 7 gennaio 2009
VENDERE MAGLIETTE A TEHERAN: UN CASO POLITICO
Investono anche la Benetton le fiamme che si sprigionano da Gaza. Nei giorni segnati dall´intensa mobilitazione iraniana contro Israele e a favore di Hamas, a Teheran è bruciato un negozio del gruppo. Fatto significativamente interpretato dal quotidiano filogovernativo Jomhuri Eslami, come protesta contro un gruppo «legato alla rete sionista». Nell´ottobre 2007 la Benetton aveva già subito attacchi da esponenti del regime. Rafforzati, anche allora, dall´immaginaria e scomoda accusa, rivolta al fondatore del gruppo, di essere un «miliardario sionista». Quella campagna, avviata da ambienti legati ai radicali di Ahmadinejad e ai conservatori religiosi della Guida Khamenei, aveva imboccato, però, vie istituzionali, finendo davanti al Majlès, il Parlamento. Secondo i suoi accesi critici, il gruppo trevigiano, che da qualche anno gestisce direttamente il mercato nella capitale e in altre importanti città iraniane, avrebbe una strategia commerciale «troppo aggressiva» e incurante del rigore morale locale. Nonostante la Benetton venda in Iran abbigliamento femminile indossato solitamente sotto lo spolverino grigio d´ordinanza o i veli prescritti dal regime, le collezioni United Colours sono equiparate, dai rigidi custodi della purezza religiosa, a strumenti di «penetrazione della cultura occidentale».
La cosmopolitica formula «unità dei/nei colori» annullerebbe, infatti, le differenze religiose e culturali, inducendo le ragazze a violare l´etica islamica. Tendenza diffusa soprattutto in ambiente urbano, in particolare a Teheran, dove le giovani donne sabotano la dimensione simbolica del velo facendone fuoriuscire i capelli.