il numero 5 il segreto degli storni di Giorgio Parisi, La Stampa, 7/1/2009, pag. 30, 7 gennaio 2009
” IL NUMERO 5 IL SEGRETO DEGLI STORNI”
Leonardo osservava un’aquila per volta, Giorgio Parisi si diverte a studiare anche 8 mila storni tutti insieme. Fotocamere e computer funzionano meglio di inchiostro e pergamena. L’occhio guarda attraverso l’obiettivo e insegue le «tribù» volanti che sfrecciano nel cielo di Roma, quando, mezz’ora prima del tramonto, compongono forme straordinarie, quasi liquide, che assomigliano a sciami di moscerini.
Sono in instancabile mutazione, gli stormi. E a volte la danza ha un sussulto, sotto l’attacco di un falco pellegrino. La macchia si spezza, ma si ricompone rapidamente, come in un segnale di vittoria: quasi sempre il duello tra l’uno e i tanti finisce con la vittoria dei secondi.
«Il falco, solitario, può toccare i 170 all’ora e gli storni i 60, organizzati in formazioni compatte in cui la distanza tra un individuo e l’altro non supera il metro e può scendere ad appena 40 centimetri», spiega Parisi. Sfiorarsi può significare farsi molto male, toccarsi anche la morte. Ecco perché in quella perfezione di movimenti l’occhio del fisico vede cose che sfuggirebbero a chi non ha molta familiarità con gli algoritmi. Lui, professore all’Università La Sapienza di Roma, è un’autentica star: citato più di 30 mila volte nella letteratura scientifica internazionale, si è dedicato a molti settori disparati, dalla fisica delle particelle alla biofisica e alla computer science: i suoi studi - 550 - gli hanno fatto vincere molti premi, comprese le Medaglie Dirac e Boltzmann, e adesso la sua attenzione si rivolge ai sistemi complessi e alla modellazione dei comportamenti collettivi: ecco perché gli stormi su Roma - ha spiegato in una serie di lezioni alla scuola di dottorato del Politecnico di Torino - rappresentano un perfetto oggetto di ricerca.
Professore, lei partecipa al progetto europeo e multidisciplinare «Starflag»: che cosa sta scoprendo?
«Lo studio - lavoro con una decina di collaboratori - è ancora in corso, ma, come spesso avviene nei processi di ricerca, sono più numerose le nuove domande che nascono via via delle risposte che si riescono a ottenere. Uno dei primi risultati raggiunti è stata la realizzazione delle prime immagini tridimensionali del volo di uno stormo».
Finora nessuno era mai riuscito a generarle, giusto?
«E’ così. Tutto è cominciato con l’installazione di 6 fotocamere digitali sul tetto del Palazzo Massimo, di fronte alla Stazione Termini, dove ogni sera lo spettacolo si ripete: gli storni si radunano e volano in formazione, probabilmente per comunicare un messaggio: ”Qui ci si può riposare per la notte”».
Che cosa avete ottenuto?
«Le fotocamere raccolgono le immagini da angolazioni diverse. L’effetto è quello della stereoscopia».
Un po’ come nel film «Matrix»?
«Sì. Prima si scattano immagini in rapida successione e da angolazioni differenti. Poi siamo riusciti a far combaciare la maggior parte dei punti di queste diverse istantanee, formando così prospettive tridimensionali. Si tratta di problemi niente affatto facili, perché a ogni punto corrisponde un uccello e gli esemplari possono essere anche migliaia: è la sfida del ”matching”».
Che informazioni fornisce questo tipo di approccio?
«Serve a sfatare molti stereotipi e, credo, anche non pochi dubbi irrisolti di biologi ed etologi».
Per esempio?
«Prima di tutto la presunta forma ”a palla”: gli stormi si presentano sempre con forme allungate e schiacciate. Se ci appaiono simili a sfere, è per le nostre illusioni ottiche».
Che cosa avete capito delle interazioni tra numeri tanto elevati di uccelli?
«Quella delle interazioni è una questione importante, non solo ai fini della comprensione del moto stesso degli uccelli, ma anche di fenomeni psicologici, sociali ed economici. In particolare ci siamo concentrati su come ogni esemplare riesca a comunicare per muoversi in modo coerente, producendo un’unica entità collettiva e multipla».
Qual è il processo?
«Non lo sappiamo ancora con certezza. Non credo che ci sia un leader del gruppo - o più leader - con il compito di stabilire le evoluzioni e la velocità. Ma la decisione di girare dev’essere presa in qualche modo: per scoprirlo dovremo studiare le accelerazioni improvvise nello stormo. A quel punto potremo individuare chi dà l’impulso iniziale. Intanto, però, abbiamo osservato che gli uccelli si muovono in base a un principio di prossimità».
Vale a dire?
«Ogni individuo tiene d’occhio i 5 compagni più vicini e si muove in base al loro comportamento, come succede agli automobilisti immersi nel traffico. L’aspetto interessante è che questa legge non dipende dalla scala dimensionale, ma è un’interazione topologica. In poche parole: non è tanto importante la distanza di chi è più vicino, ma la presenza stessa di chi è più vicino. Il principio si propaga, fino a determinare le evoluzioni dello stormo».
Che non è compatto come si crede: è così?
«Infatti è più compatto ai bordi, che rappresentano la difesa dagli attacchi dei predatori. E’ chiaro che gli uccelli in questa posizione svolgono un ruolo pericoloso e, quindi, esiste un flusso continuo di scambio tra l’interno e i bordi stessi. Le sentinelle si cedono periodicamente il posto, come in un cambio della guardia. I nostri modelli rivelano una disposizione che ricorda la anisotropia».
Spieghi.
«Lo stormo non è una struttura omogenea, in cui un fenomeno ha la stessa probabilità di accadere in ogni suo punto. Se ci si tiene sotto controllo l’un l’altro, è maggiore la probabilità di disporsi lateralmente, invece che di fronte o posteriormente: la fisiologia della visione, che impone un angolo cieco, non è isotropica».
Riuscite a simulare la velocità del ricambio?
«Non ancora. E d’altra parte non esiste nemmeno una descrizione delle ragioni: potrebbe non esserci un vantaggio evolutivo, ma soltanto un’ottimizzazione dei costi. E’ la logica dei capezzoli maschili: per la Natura - l’ha spiegato Stephen Jay Gould - sarebbe stato troppo costoso eliminarli negli uomini e mantenerli contemporaneamente nelle donne».
Prossimi obiettivi?
«Le analisi in 3D e 4D genereranno modelli sempre più sofisticati e rivelatori: in futuro mi piacerebbe espandere le ricerche ai pesci e ai moscerini».