Federico Rampini, la Repubblica 8/1/2009, 8 gennaio 2009
FEDERICO RAMBINI PER LA REPUBBLICA DI GIOVEDì 8 GENNAIO 2009
Si può mediare avendo due pistole puntate alle tempie? E´ il dilemma dell´Europa senza gas. La speranza di risolvere in fretta l´ennesimo scontro tra Russia e Ucraina, che azzera i flussi di gas naturale verso di noi, è affidata a una mediazione di Bruxelles. Ma ancora una volta l´Unione europea affronta questa emergenza energetica sotto stress, nella situazione di massima debolezza, cercando di tappare in extremis delle falle che erano prevedibili: siamo alla quarta edizione della rissa Mosca-Kiev; la più grave (quella che avrebbe dovuto già servirci da lezione) è ormai vecchia di tre anni. L´imprevidenza europea è tale che si vocifera di un summit dei ministri energetici forse questo lunedì: ma questo genere di crisi andava prevista e prevenuta a Ferragosto, non quando mezzo continente è sepolto dalla neve.
Ora che il termometro è precipitato ovunque sotto zero, è ai minimi anche il nostro potere contrattuale verso i due contendenti. Ciascuno dei quali sta giocando un gioco sporco: prende in ostaggio centinaia di milioni di consumatori europei per perseguire i propri fini. La fabbrica della Suzuki in Slovacchia che da ieri ha chiuso i battenti per mancanza di gas è un campanello di allarme e un sinistro presagio. In piena recessione la nostra economia reale non può permettersi di subire anche una penuria energetica.
L´Ucraina ha le sue buone ragioni quando rifiuta i diktat di Mosca che vuole adeguare i prezzi del gas alle quotazioni di mercato: non fu la logica del mercato ma la dittatura del Cremlino a imporre sul territorio ucraino la servitù di passaggio del gigantesco gasdotto, e quella servitù val bene uno sconto. Ma a Kiev è in corso anche una furibonda lotta di potere, con ingerenze americane (Dick Cheney c´è stato di recente), che ha come posta in gioco l´ingresso nella Nato e nell´Ue. Bruxelles deve inviare un messaggio chiaro: non è un buon biglietto da visita per entrare nella nostra famiglia, servirsi da soli dal gasdotto rubando l´energia da noi legalmente acquistata, come fanno gli ucraini ogni volta che Mosca taglia le loro forniture.
L´Unione europea deve anche «vedere» il bluff russo. Neppure nei momenti più drammatici della guerra fredda i dirigenti dell´Urss fecero mancare l´energia all´Europa occidentale. La Russia ha bisogno della nostra valuta pregiata almeno quanto noi abbiamo bisogno del suo gas per scaldarci e produrre elettricità. Il 60% del bilancio pubblico di Mosca viene dall´export di energia. Putin e Medvedev giocano una partita azzardata, tentano di afferrare l´ultima chance, in una fase in cui il declino del modello di Petro-Stato autoritario è ormai inevitabile: in poco più di sei mesi il valore dei loro giacimenti è crollato dei due terzi. La rendita energetica su cui poggiavano i loro sogni di restaurazione imperiale sta svaporando sotto gli effetti della deflazione planetaria. Ma nelle capitali europee manca la volontà politica di sfidare l´arroganza degli oligarchi. La lobby degli amici di Gazprom - un colosso statale che da solo vale l´8% di tutto il Pil russo - ha messo radici ben profonde in diverse cancellerie europee. Il caso dell´ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, lobbista a libro paga di Mosca, è appena la punta dell´iceberg. Solo un dirigente polacco ieri ha osato dire a voce alta quel che molti pensano: il ricatto russo oltre a manifestare un revival di volontà egemonica verso l´Europa orientale è anche uno strumento di pressione per accelerare il progetto del North Stream, il gasdotto sotto il Mar Baltico che raggiungerebbe direttamente la Germania senza attraversare altri paesi. Quel progetto va in direzione opposta alla nostra sicurezza di lungo termine.
Aumenterà ulteriormente la nostra dipendenza dalla Russia proprio mentre abbiamo bisogno di diversificare le nostre fonti di approvvigionamento. La tattica di Mosca è stata temporaneamente rafforzata da un perverso intreccio con i sussulti del mercato petrolifero. Il barile di greggio che poco prima di Natale era precipitato a 32 dollari, ai primi di gennaio era risalito a quota 48 dollari. In parte quella fiammata è stata il frutto dei tagli di produzione Opec, e della tensione in Medio Oriente, in parte è stata anche una conseguenza della contesa fra Mosca e Kiev. I prezzi del gas sono indicizzati nei contratti a lungo termine su quelli del petrolio. Una penuria in un segmento del mercato si trasmette velocemente agli altri. Una «ripresina» dei prezzi energetici, anche se artificiale e destinata a durare pochi mesi, sarebbe un colpo micidiale sferrato a un´economia mondiale già così debole.
Perciò il duetto inscenato fra gas e petrolio nel rialzo sui mercati delle ultime due settimane è preoccupante, almeno quanto il rischio della penuria fisica nei nostri fornelli, nelle nostre caldaie e nelle centrali elettriche. Ma il tracollo improvviso del barile di greggio avvenuto ieri sera, una perdita secca del 12% che lo ha fatto ridiscendere a 42,6 dollari in poche ore, ha messo a nudo l´imperatore Putin-Gazprom. Lo scenario dominante del 2009 è destinato a rimanere quello della deflazione, con i rischi che degeneri in una Grande Depressione. Il revival di rincaro del petrolio si è spento come un fuoco di paglia. Presto la caduta della quotazione del greggio si trasmetterà anche ai prezzi del gas. L´effimera ricchezza russa si squaglierà provocando insolvenze e tensioni interne. Il rilancio del Petro-Stato è un´illusione affidata al generale Inverno, non sopravviverà ai primi disgeli. E´ ora che i governi dell´Ue ne traggano le conseguenze, e smettano di tremare ad ogni ruggito dell´orso russo.