Giusi Fasano per il Corriere della Sera di martedì6 gennaio 2009, 8 gennaio 2009
«HO GUARDATO A LUNGO NOSTRA FIGLIA POI HO AMMAZZATO GIADA NEL LETTO»
FERRARA - «Prima di colpire mia moglie ricordo che guardavo la mia bambina dormire nella stanza vicina con l’ abat-jour accesa, come faceva sempre... Sono stato lì a guardarla per un po’ , poi sono entrato nella stanza da letto di Giada e l’ ho vista. Non c’ era molta luce e ricordo di aver visto solo la testa. Ricordo che l’ ho colpita, non so bene dove, con il tubo d’ acciaio che avevo portato con me, simile a un piede di porco. Non avevo intenzione di farle troppo male...». Tutto scritto di filato. Non una pausa di riflessione né un momento di incertezza. Men che meno una lacrima. Perché lui, Denis Occhi - l’ uomo prima assolto e ora reo confesso dell’ omicidio della sua ex moglie - fa sempre così: racconta ogni cosa allo stesso modo, senza emozioni apparenti. Chi lo ha visto scrivere questa confessione (la prima, da indagato) o l’ ha sentito parlare di «quella sera» venerdì scorso (ammissioni-fotocopia ma ormai da imputato assolto definitivamente) giura che Denis ha l’ aspetto di uno che si sta preoccupando di una contravvenzione, niente di più. Dopodiché ogni volta ritratta. Eppure quando confessa (l’ ha già fatto tre volte) mescola ricordi confusi a dettagli così precisi che quasi quasi lo puoi vedere mentre scardina la porta della vittima, mentre si ferma sull’ uscio della cameretta di sua figlia, mentre infierisce contro Giada, che morirà dopo 14 mesi di coma profondo. Era il 25 novembre 2004. «Quel giorno, nel pomeriggio, c’ era stata una telefonata brusca fra me e mia moglie» attacca Denis nel suo ultimo verbale. «Avevamo discussioni continue per la separazione e perché lei non voleva farmi vedere la bambina. La telefonata è finita a insulti e io alla sera decisi di andare da lei per un chiarimento. Volevo parlare con lei della mia bambina e allora sono andato fino a Jolanda di Savoia, dove lei viveva con il suo nuovo convivente». Denis, oggi disoccupato ma all’ epoca muratore, aveva portato con sé un «cacciaspine» una specie di punteruolo sottile che serve a smontare valvole e bulloni. Qualche volta, nelle due precedenti confessioni, Denis chiama quell’ attrezzo «tubo d’ acciaio». «Per entrare in casa ho dovuto rompere con il tubo d’ acciaio la porta d’ ingresso e poi la porta delle scale», dice. Parla della pausa davanti alla cameretta della bambina, poi di come «nel buio ho colpito Giada, non so dove. Ricordo che tutto è durato più o meno venti minuti. Dopo sono corso via, in macchina, fino al Ponte della Madonnina e lì ho gettato in acqua il bastone d’ acciaio». La parte che riguarda l’ arma (mai trovata) è diversa dalle altre nell’ ultima confessione. L’ altro giorno l’ ex imputato ha raccontato di aver «nascosto vicino alla casa di Giada il cacciaspine con cui l’ avevo colpita. Sono andato a riprenderlo il giorno dopo e quel punto l’ ho gettato fra il materiale del cantiere di una casa in costruzione». Fuori verbale, al suo avvocato (Giovanni Montalto), ha aggiunto che «ero disperato, sono andato a casa e ho pianto tutta la notte. Sono rimasto lì, fermo, ad aspettare i carabinieri. Non lo so perché è successo ma è successo, mi è preso un raptus ed è andata a finire così». Anche venerdì, dopo la deposizione negli uffici della Squadra mobile di Ferrara ha chiesto al suo legale: «quando vengono a prendermi per arrestarmi?» Prima di cominciare la deposizione il difensore aveva provato a ragionare sull’ opportunità di una nuova confessione. «La voglio fare, la devo fare per forza sennò il rimorso mi farà a pezzi». I giudici della corte d’ assise d’ appello che l’ hanno assolto dopo i vent’ anni del primo grado scrivono di lui che si comporta «come se fosse stretto fra una pulsione autoaccusatoria e la controspinta innocentista» e che «a volte prevale la prima, a volte la seconda». Come davvero sia andata quella sera di novembre non sarà mai più accertato. Nessuno saprà mai se ha ragione il Denis che ripeteva a sua madre «ti spacco la testa come a Giada» oppure quello che oggi balbetta «nessuna confessione, mi avete tutti frainteso».
Giusi Fasano