Alessandro Graziani per Il Sole 24 Ore di martedì gennaio 2009, 7 gennaio 2009
UNICREDIT-MEDIOBANCA, SOCI IN MANOVRA
Se ne parla da almeno due mesi. Per il momento non è ancora un progetto. Ma certamente è più di un’idea e c’è chi sta lavorando per ottenere il via libera dei grandi soci delle due banche e il consenso degli ambienti politico-finanziari. L’idea, dai clamorosi risvolti per gli assetti della grande finanza italiana, riguarda l’aggregazione tra UniCredit e Mediobanca. Ovviamente, trattandosi di un progetto ipotetico e ancora non definito, le fonti ufficiali dei due istituti smentiscono che l’ipotesi sia anche solo allo studio. Tuttavia i diretti protagonisti la considerano una soluzione di «sistema», forse l’unica davvero realizzabile, da far scattare nel caso in cui il contesto di mercato dovesse rendere più difficile il rilancio di UniCredit. In questa chiave, fonti autorevoli confermano a Il Sole 24 Ore che il dossier è già oggi una delle opzioni all’esame dei soci. E alcune recenti novità evidenziano che qualche manovra preparatoria è già partita, come dimostra la recente mossa della Fondazione Cariverona presieduta da Paolo Biasi (primo socio di UniCredit con il 5,08%) che, a sorpresa, è salita al 3,13% di Mediobanca (sembra senza avvisare il presidente di Mediobanca Cesare Geronzi).
Tutti gli occhi, a questo punto, sono puntati proprio sulle mosse di Geronzi che, dopo aver consegnato nel 2007 Capitalia all’UniCredit di Alessandro Profumo (nominato presidente della Federazione bancaria europea), ora forse intravede la possibilità di spiccare il volo alla guida del maxi-polo bancario che nascerebbe dalla fusione UniCredit-Mediobanca, a cui continuerebbe a fare capo il controllo (15%) delle Assicurazioni Generali. Il contesto politico gli è favorevole, dati i rapporti preferenziali con il Governo guidato da Silvio Berlusconi. Ma non è affatto scontato che anche il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti avalli il progetto.
Dal punto di vista finanziario, in ogni caso, le condizioni sono propizie per Mediobanca che può esibire la propria forza patrimoniale a differenza della temporanea debolezza di UniCredit. «La partita si gioca nei prossimi sei mesi», si limita a dire uno dei protagonisti in campo. Si conta sulla stabilità politica prevista almeno fino alla tornata elettorale di giugno. Ma le variabili sono essenzialmente finanziarie e dipenderanno dall’esito dei numerosi appuntamenti delle prossime settimane. Il primo riguarda l’aumento di capitale da 3 miliardi di UniCredit partito ieri e destinato a concludersi entro fine gennaio con l’emissione di un prestito convertibile che sarà sottoscritto dalle Fondazioni, dai fondi sovrani libici, dalla Fondiaria Sai di Ligresti, oltrechè dalle stesse Mediobanca e Generali. Se non vi saranno intoppi nel complesso iter dell’aumento, la tecnicalità dell’operazione porterà Mediobanca a custodire (almeno per un anno) il 6,8% del capitale di UniCredit sottostante al convertibile. Un passaggio tecnico, ma certo non banale se l’ipotesi di avvicinamento tra i due istituti dovesse davvero entrare nel vivo.
Il secondo appuntamento avverrà entro la metà di marzo, con l’approvazione dei risultati di bilancio 2008 di UniCredit e della semestrale di Mediobanca. sulla base di quei dati che, eventualmente, saranno gettate le basi per le valutazioni dei due gruppi. Se UniCredit dimostrerà di avere ritrovato forza, tamponando le falle dell’area investment banking, la fase più acuta della crisi potrà dirsi davvero alle spalle. E il progetto di avvicinamento UniCredit-Mediobanca sarà più difficile da realizzare. Altrimenti le nozze diventeranno quasi inevitabili, anche perchè una persistente debolezza azionaria di UniCredit ne metterebbe a rischio l’assetto di controllo. L’alleanza con Mediobanca avrebbe invece il pregio, per gli amanti del genere, di garantire l’italianità.
Resta, naturalmente, l’incognita del rinnovo del mandato al vertice di Piazza Cordusio. Il terzo appuntamento decisivo è infatti a inizio maggio, quando i soci di UniCredit dovranno nominare il nuovo consiglio di amministrazione per il prossimo triennio e l’orientamento è di riconfermare piena fiducia a Profumo. In quella sede, tra l’altro, faranno il loro debutto i nuovi soci della Central Bank of Libia (4,7%), in cordiali rapporti con il Governo italiano.
Una serie di passaggi cruciali per UniCredit che, dopo aver superato la fase di emergenza, nei prossimi mesi dovrà dimostrare di aver ritrovato pienamente la forza che negli ultimi anni l’aveva portata a essere la più grande banca europea. Se invece i problemi dovessero permanere - e questo dipenderà essenzialmente dall’ambiente esterno, a partire dall’instabilità dei mercati - sarà più difficile opporsi a una «soluzione di sistema» come sarebbe il matrimonio con Mediobanca. Per Piazzetta Cuccia l’ingresso in una banca commerciale – seppure da vincitore – segnerebbe la fine di un modello che ha dimostrato di funzionare egregiamente, malgrado la crisi, anche nel 2008. Non è detto che il management guidato da Alberto Nagel e Renato Pagliaro vedrebbe di buon occhio un’operazione che sacrificherebbe l’indipendenza di una delle poche investment bank di successo. Anche se il recente sviluppo delle attività retail (dal credito al consumo a Che Banca!) dimostra che quel modello è in fase di rivisitazione. E che il futuro, come per tutte le banche uscite indenni dalla crisi, è tutto da disegnare. Seppure da posizioni di forza.
La partita, in ogni caso, in questa fase è nelle mani degli azionisti dei due gruppi. Dall’eventuale fusione, secondo una simulazione basata sui valori di Borsa al 2 gennaio, l’azionariato della nuova Mediobanca vedrebbe la Fondazione CariVerona al 4,7%, i libici al 4%, i soci industriali del gruppo B al 4% (tra questi anche la Fininvest della famiglia Berlusconi), la Fondazione Crt al 3%, Carimonte Holding al 3%, i francesi guidati da Vincent Bollorè al 2,4%, la Fondiaria Sai con poco meno del 2%, così come le Generali (anch’esse con poco meno del 2%). L’azionariato che si delineerebbe - dai libici a Bollorè, da Ligresti alla Mediolanum - trova un evidente punto di sintesi in Geronzi e non è certo "sgradito" al Governo Berlusconi.
Se davvero il progetto dovesse decollare, chi potrebbe opporsi? Gli ostacoli non mancheranno, poichè l’eventuale aggregazione creerebbe un polo finanziario e uno snodo di potere che, mettendo insieme UniCredit, Mediobanca e Generali, raggiungerebbe dimensioni colossali. Certo, l’ipotesi non piacerà al presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli che, già ai tempi della fusione UniCredit-Capitalia, mostrò serie preoccupazioni per gli assetti delle Generali. Ma in questa fase Bazoli, così come gli ambienti politici a lui vicini, è costretto a giocare in difesa. Il caso-Zaleski non lo ha certo aiutato. Così come l’attivismo dell’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Corrado Passera che, con l’operazione Alitalia, si è conquistato l’apprezzamento del centrodestra nei palazzi della politica romana. Lasciando Bazoli un po’ più solo.